Dal 7 marzo 2015, con il Decreto legislativo n. 23 del 4 marzo 2015, è entrato in vigore il contratto a tutele crescenti che ha modificato il regime di tutela in caso di licenziamento. Vediamo come funziona il nuovo contratto a tutele crescenti.
Dal 7 marzo 2015 è in vigore il contratto a tutele crescenti, fiore all’occhiello del Jobs Act, la riforma del lavoro del governo Renzi, che ha modificato la disciplina in caso di licenziamento.
Per i lavoratori assunti, trasformati o qualificati il legislatore introduce infatti un nuovo regime di tutela per i licenziamenti illegittimi, togliendo ogni discrezionalità al giudice e prevedendo un’indennità risarcitoria crescente in ragione dell’anzianità di servizio in azienda.
Vediamo di seguito come funziona.
Contratto a tutele crescenti: cos’è e a chi si applica?
Partiamo dal definire cosa si intenda con contratto a tutele crescenti. Il contratto a tutele crescenti è la nuova forma contrattuale a tempo indeterminato introdotta con il Jobs Act e disciplinata dalle disposizioni contenute nel Decreto legislativo n. 23 del 4 marzo 2015.
Tali disposizioni si applicano:
- ai lavoratori assunti a tempo indeterminato dal 7 marzo 2015;
- ai lavoratori che dal 7 marzo 2015 hanno avuto trasformato il contratto di lavoro da tempo determinato a tempo indeterminato;
- agli apprendistati che sono stati qualificati dal 7 marzo 2015.
Contratto a tutele crescenti e licenziamento: cosa cambia?
Il decreto, come anticipato più sopra, introduce un nuovo regime di tutela per i casi di licenziamento illegittimo permettendo una maggiore flessibilità in uscita del lavoratore dall’azienda e togliendo la discrezionalità al giudice.
Con il contratto a tutele crescenti, infatti, viene previsto un indennizzo economico di importo prevedibile e crescente sulla base dell’anzianità di servizio del dipendente.
A quanto ammonta l’indennizzo previsto in caso di licenziamento illegittimo?
Tale indennizzo è pari a due mensilità per ogni anno di lavoro.
Contratto a tutele crescenti, quando è previsto il reintegro del lavoratore?
Anche con il contratto a tutele crescenti è previsto il reintegro del lavoratore licenziato quando sussistono casi tassativi previsti dalla legge.
In concreto, il reintegro è previsto in caso di:
- licenziamento discriminatorio (determinato da ragioni di credo politico o fede religiosa, dall’appartenenza ad un sindacato, dalla partecipazione ad attività sindacali o ad uno sciopero, nonché discriminazione razziale, di lingua o di sesso, di handicap, di età o basata sull’orientamento sessuale o sulle convinzioni personali);
- licenziamento intimato durante i periodi di tutela (primo anno di matrimonio, durante la maternità e fino al compimento di un anno di età del bambino, per fruizione dei congedi parentali);
- licenziamento per motivo illecito ( ex art. 1345 c.c.);
- licenziamento intimato in forma orale.
In questi casi il lavoratore, oltre ad aver diritto al reintegro nel posto di lavoro, avrà diritto anche al riconoscimento di un’indennità come risarcimento, commisurata all’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto, dalla data del licenziamento alla data dell’effettiva reintegra, dedotto quanto eventualmente percepito per lo svolgimento di altre attività lavorative (aliunde perceptum), nonché da quanto avrebbe potuto percepire accettando una congrua offerta di lavoro (aliunde perceptum) e comprensiva del versamento dei contributi previdenziali ed assistenziali.
In alternativa al reintegro nel posto di lavoro il lavoratore, nei casi sopra indicati, fermo restando il risarcimento, potrà ottenere un’ indennità pari a 15 mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del TFR, non soggetta a contribuzione previdenziale.
Contratto a tutele crescenti: cosa succede in caso di licenziamento per giustificato motivo e giusta causa?
In questo caso viene riconosciuta un’indennità non assoggettata a contribuzione previdenziale, di importo pari a 2 mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del TFR per ogni anno di servizio, in misura comunque non inferiore a 4 e non superiore a 24 mensilità. La misura è dimezzata nelle piccole imprese e non può superare le sei mensilità.
Nel caso in cui il fatto materiale contestato al lavoratore nel licenziamento per giustificato motivo e giusta causa risulti insussistente è previsto il reintegro del lavoratore e il riconoscimento, allo stesso, di un’indennità a titolo di risarcimento.
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