L’ipotesi è tornata d’attualità dopo un collage di dichiarazioni di alcuni scienziati che criticano l’Oms, del virologo in chief Fauci e addirittura del presidente degli Stati Uniti. Ma se si va a cercare di comprendere il senso delle affermazioni ci si rende conto che...
Quella del coronavirus scappato dal laboratorio di Wuhan è una storia anziana quanto l’epidemia. Già si trovava adombrata nei primi discorsi di Donald Trump, quando l’allora presidente degli Stati Uniti lo chiamava «Chinese virus». In Italia è scoppiata quando è cominciato a circolare il video di un servizio di Tgr Leonardo del 2015 che raccontava della creazione di un supervirus polmonare da pipistrelli e topi cominciò a girare su Whatsapp e Telegram per approdare infine alle pagine facebook di Matteo Salvini e Giorgia Meloni.
E oggi che l’ipotesi torna a far parlare i media è interessante analizzare cosa ci sia dietro la storia del coronavirus creato nel laboratorio di Wuhan. Come vedremo, per ora, tanta politica e poca scienza.
Cosa c’è dietro le notizie sul virus scappato dal laboratorio di Wuhan
Il servizio di Tgr Leonardo parlava di un esperimento i cui risultati vennero pubblicati su Nature Medicine e nel quale lo scienziato Ralph Baric prendeva una proteina dai pipistrelli e la inseriva nel virus della Sars (ovvero il «parente» dell’attuale virus che genera Covid-19) rendendolo così capace di trasmettersi all’uomo. Cosa c’entrava quella storia, realmente accaduta, con Sars-CoV-2? Poco o niente, come si affrettarono a spiegare all’epoca gli esperti: «Il virus attuale non deriva né dalla prima versione della Sars né tantomeno dai topi, per cui non può essere in nessun modo il virus creato nel laboratorio cinese di cui si parla nel servizio», diceva Giovanni Mega, direttore dell’Istituto di genetica molecolare del Cnr di Pavia.
E anche Nature all’epoca smentì aggiungendo una postilla significativa al suo articolo: «Ci risulta che questa storia venga usata per far circolare teorie infondate che il nuovo coronavirus che causa Covid-19 sia stato ingegnerizzato. Non esiste evidenza che questo sia vero». Ma nel frattempo le voci non si sono mai spente. Anche perché sono state alimentate dalle circostanze in cui è comparso il virus in Cina prima di diffondersi nel resto del mondo. Non è un segreto che a Wuhan dal 1956 sia in funzione un laboratorio che dal 1978 si è occupato di virologia. Meno conosciuta è la particolarità che gli studi di quel laboratorio siano stati foraggiati e aiutati dall’appoggio prima della Francia e poi degli Stati Uniti. E questo perché così i due paesi hanno finanziato per anni quegli esperimenti sui virus che “a casa loro non potevano realizzare”.
E veniamo a Sars-CoV-2. In molti ritengono che il primo focolaio di coronavirus sia scoppiato già nel novembre del 2019. Tutti sono certi della città in cui il virus ha cominciato a circolare: proprio Wuhan, capoluogo della provincia di Hubei con 11 milioni di abitanti. Ma l’allarme scatta soltanto il 30 dicembre, quando la commissione sanitaria della città promulga un avviso che riguarda diversi casi di polmonite anomala sviluppatisi tra gli avventori e i venditori del wet market di Huanan: il mercato viene chiuso qualche giorno dopo e l’idea che circola già all’epoca è che il virus dai pipistrelli abbia effettuato il salto di specie verso l’uomo attraverso un altro animale: l’indiziato principale è il pangolino. E già all’epoca, quando la crisi del coronavirus sembra un affare soltanto cinese, negli Usa c’è chi, come il repubblicano Tom Cotton, punta il dito sul «super laboratorio cinese di livello quattro di biosicurezza che lavora con gli agenti patogeni più pericolosi del mondo». Nessun accenno a da dove siano arrivati i soldi per queste ricerche, ma all’epoca la Cina aveva già inibito agli Usa (come aveva già fatto con la Francia) l’accesso alle strutture.
La data-chiave: novembre 2019
Ma proprio perché in molti retrodatano la comparsa di Covid-19 nella specie umana a novembre, ha fatto scalpore nei giorni scorsi un report della CIA pubblicato dalWall Street Journalche raccontava la storia di tre scienziati del laboratorio di Wuhan che erano stati ricoverati per una polmonite. Il collegamento con il coronavirus è automatico. Ma qui è importante operare una prima distinzione: ci sono due tesi che si intersecano sulla vicenda, spesso senza soluzione di continuità. La prima vuole che il virus sia stato creato e intenzionalmente diffuso dalla Cina per mettere in difficoltà l’Occidente, e di solito a questa tesi si contrappone l’argomento, abbastanza inoppugnabile, che i primi morti Sars-CoV-2 li abbia fatti proprio in Cina: se era un piano, è riuscito piuttosto male.
La seconda tesi invece è che il coronavirus sia invece scappato in qualche modo dal laboratorio di Wuhan. Ovvero che la sua diffusione non sia stata intenzionale ma che sia frutto di un incidente accaduto proprio nella cittadina cinese. Su questo scenario puntano attualmente le tesi che tirano in ballo la Cina. Ma lo stesso articolo del Wsj che parla dei tre scienziati cinesi (i quali rappresenterebbero i pazienti zero dell’epidemia) ricorda che il rapporto, che risale agli ultimi giorni dell’amministrazione di Trump, descrive una situazione spiegabile con pochi sforzi di fantasia, visto che le prove descrivono un’influenza polmonare contratta durante l’inverno, senza nessuna evidenza che si tratti di Sars-CoV-2. Di più: Shi Zhengli, virologa del laboratorio, aveva fatto sapere che gli tutti gli scienziati della struttura erano risultati negativi ai test sierologici.
Proprio lei, Ph.D all’università di Montpellier in Francia e ricercatrice sul campo (ha studiato i pipistrelli nelle grotte per più di quindici anni), ha voce in capitolo sulla questione perché prima ha rilasciato un’intervista in cui non escludeva la possibilità e poi l’ha successivamente negata con fermezza: «Posso garantirlo sulla mia vita». In più, il rapporto dell’Organizzazione Mondiale della Sanità che ha giudicato come «estremamente improbabile» l’ipotesi che il coronavirus sia scappato o sia stato creato nel laboratorio di Wuhan è stato criticato da un gruppo di 18 scienziati, che in una lettera aperta pubblicata su Science hanno invitato ad approfondire la questione giudicando finora troppo labili gli argomenti a favore dell’origine naturale del virus.
Il coronavirus «prodotto» nel laboratorio di Wuhan?
Ma quindi anche gli scienziati sono convinti della possibilità? In realtà il contributo pubblicato su Science si limita a non escludere la tesi della fuga dal laboratorio fino a prova contraria. E proprio questo sollecita, senza schierarsi da una parte o dall’altra della diatriba. Infine, vanno discusse le dichiarazioni di Joe Biden e Anthony Fauci. Il virologo in chief che ha tenuto testa a Donald Trump ha dichiarato che la possibilità di una ’fuga’ dal laboratorio «esiste di certo, e sono assolutamente a favore di un’indagine sull’accaduto». La presa di posizione, per l’autorevolezza del pulpito da cui proviene (e anche perché cozza con altre dichiarazioni più antiche dello stesso Fauci) è sembrata ai più come la prova definitiva... di qualcosa.
Ma forse per comprendere meglio le affermazioni di Fauci bisognerebbe contestualizzarle. Si scoprirebbe così che il virologo parlava come ospita al Festival del Fact Checking organizzato dalla rivista PolitiFacts a metà maggio. E che la sua rispostafa parte di una lunga replica, tagliata dalla Cnn nel primo articolo diventato virale sulla vicenda. Se si ha la pazienza di leggerla integralmente, si capisce che la posizione di Fauci non è mutata rispetto a un anno fa. Ovvero che non è convinto al 100% dell’origine naturale del virus e per questo chiede, come fa da molto tempo a questa parte, indagini più approfondite. Pur ritenendo più probabile proprio l’origine naturale.
E il presidente degli Stati Uniti? Ufficialmente, dopo l’articolo del Wsj che parlava dei tre scienziati ammalatisi di polmonite, la Casa Bianca ha tenuto a far sapere di aver chiesto all’intelligence di «raddoppiare gli sforzi» per arrivare «entro novanta giorni» a una conclusione definitiva sulle origini del coronavirus che causa il Covid-19. Ma anche qui la dichiarazione va contestualizzata: nel senso che arriva mentre l’argomento viene sollevato spesso dai repubblicani. E Biden non ha alcun interesse a escludere l’ipotesi, visto che automaticamente questo costituirebbe un’apertura nei confronti della Cina. Ma il presidente ha chiesto un’indagine dando un limite temporale. E questo può anche essere interpretato in un altro modo: ovvero come un ultimatum dato all’intelligence per chiudere la questione in una maniera o nell’altra. Anzi, di più: perché il limite temporale appare piuttosto contingentato per rispondere a una questione che è sul tavolo da quattordici mesi e alla quale nessuno ha trovato finora una risposta definitiva.
Le fake news della politica e la tesi della scienza
Insomma, in questa piccola storia del coronavirus creato nel laboratorio di Wuhan ce n’è abbastanza per comprendere che finora abbiamo assistito più alla strumentalizzazione di affermazioni decontestualizzate che a vere e proprie prese di posizione nei confronti di una tesi o dell’altra. E questa rimane un’abitudine vecchia della politica (e dei media): prendere un’affermazione di uno scienziato e poi semplificarla brutalmente fino a farla diventare un elemento a supporto di una tesi precostituita. Ma è davvero tutto qui? No.
Perché proprio ieri l’immunologo Guido Silvestri della Emory University di Atlanta a Mezz’ora in Più su Rai 3 ha parlato dell’argomento riportando elementi interessanti: «Abbiamo trovato una sequenza nel virus strana in una replica naturale. Questo non vuol dire che sia successo sicuramente in laboratorio ma sarebbe una spiegazione non peregrina. Servirebbero dati trasparenti e indipendenti per capire», ha detto. Spiegando che «c’è una zona della sequenza del virus della proteina Spike 12 nucleotidi, che stanno a metà tra la prima e la seconda parte della famosa proteina Spike, la S che è una sequenza particolarmente strana da spiegare con un semplice passaggio da un virus all’altro attraverso ricombinazione, per un insieme di motivi che sono complicati da dire e hanno a che fare con la struttura del codice genetico».
E quindi, secondo il professore, «tutti hanno trovato questa sequenza che è strana da spiegare attraverso una ricombinazione naturale. E noi sappiamo che all’Istituto di virologia di Wuhan, e questo lo sappiamo da fonti certe, si stava lavorando da anni all’elaborazione in vitro di varianti virali in qualche modo artificiali che avevano un’aumentata capacità di infettare cellule umane sia in vitro sia in topi che avevano il recettore Ace2 dell’uomo messo all’interno del loro organismo». Ma attenzione, perché è lo stesso Silvestri a dire che questo, di per sé, non prova nulla. Ma che si tratta di un elemento da investigare per comprendere come sono andate le cose. E la differenza con la tempesta di notizie di questi giorni è evidente. Ovvero, lo scienziato indica la luna della dimostrazione scientifica. Il politico guarda il dito della strumentalizzazione politica.
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