Covid, la pandemia prevede 5 fasi: ecco dove siamo oggi

Chiara Esposito

18 Gennaio 2022 - 23:13

Uno sguardo d’insieme alla naturale evoluzione dei fenomeni pandemici per comprendere meglio quello in cui ci troviamo da quasi due anni.

Covid, la pandemia prevede 5 fasi: ecco dove siamo oggi

Per guardare al futuro con una linea guida spesso ci si rivolge al passato, si impara dalla storia per comprendere quale siano le prospettive del domani. Oggi si cerca di fare lo stesso con la pandemia non per prevederne la fine, vista la remota possibilità che ciò avvenga in maniera netta e «canonica», quanto piuttosto per capirne la natura, l’evoluzione e come dovremmo comportarci di conseguenza.

Una lettura che ha preso piede di recente è quella proposta dal dottor Anthony Fauci, noto consulente medico del presidente USA Biden durante la diretta streaming dell’ultima riunione del World Economic Forum. La sua riflessione sul futuro del SARS-CoV-2 infatti si basa sugli studi di epidemiologia e sul normale andamento di questi fenomeni che, salvo nuove varianti, si trasformano in virus endemici.

Nella teoria in questione si parla infatti di fasi e possibili punti di svolta; scendiamo nel dettaglio con occhio critico.

Fauci al World Economic Forum: la teoria delle 5 fasi

Durante la diretta streaming al World Economic Forum Fauci ha parlato delle cosiddette «5 fasi pandemiche» che storicamente sono state registrate dalla scienza e in cui normalmente fenomeni come questi si evolvono:

  • «pandemia attiva» (quella in cui ci troviamo attualmente con impatto critico);
  • decelerazione (la popolazione sviluppa in massa un alto tasso di immunità);
  • controllo (ridurre la morbosità della malattia a un livello tale per cui non costituisca più un problema di sanità pubblica);
  • eliminazione (la malattia non viene più rilevata per almeno tre anni in una determinata area geografica);
  • eradicazione (eliminazione progressiva di un determinato virus in tutto il mondo, ma solo il vaiolo è stato veramente eradicato).

Il Corriere della Sera a tal proposito ha intervistato Paolo Bonanni, epidemiologo e Ordinario di Igiene all’Università di Firenze. Analizziamo quindi il quadro attraverso le sue parole.

Ne usciremo ma il virus non verrà eradicato

Più che all’eliminazione, come in realtà alcuni stati quali la Cina puntano strenuamente, oggi si è compresa la necessità di ambire alla convivenza con il virus in una forma endemica. Per endemia si intende la presenza costantemente o molto frequente di una malattia in una popolazione o in un territorio ma in forma non problematica o degenerativa.

Secondo Bonanni è plausibile pensare che «il virus diventerà una presenza non distruttiva e sarà considerato endemico», ma sarà la variante Omicron a mettere fine alla pandemia per come la conosciamo oggi? Ad oggi non è chiaro, alcuni ipotizzano che questa mutazione segnerà la fine della «prima fase pandemica» della circolazione del virus SARS-CoV-2, altri no.

A fronte di queste nette faziosità Fauci dice di attendere.

In risposta, l’unica strada per lo studioso italiano, resta la seguente:

«Serve che l’immunità sia permanente e che ci copra anche nei confronti delle nuove varianti del virus che potrebbero circolare. Bisognerebbe trovare un target per il vaccino che non cambi nelle diverse varianti, ma sembra abbastanza improbabile. Sarebbe necessario, in altre parole, trovare un vaccino universale che impedisca molto efficacemente la trasmissione indipendentemente dalle varianti».

Possiamo rendere endemico il SARS-CoV-2?

L’unico strumento sono quindi le coperture vaccinali e le terze dosi «il cui effetto si unisce alle infezioni naturali», secondo lo Bonanni.

Urge quindi un’eccezionale campagna vaccinale ma non solo nel nostro Paese o nei paesi che già sono alla terza o addirittura alla quarta dose (vedesi Isralele); l’immunizzazione ora più che mai deve essere di natura globale.

Senza una buona capacità di prevenzione delle conseguenze più gravi dell’infezione continueremo a sentir parlare di altre varianti e a temere di volta in volta di non avere gli scudi vaccinali necessari a far fronte ad una nuova «versione» del virus.

A fronte di questo, in estrema sintesi, il professor Bonanni tocca un tasto importante: le soglie socialmente accettabili di letalità e pericolosità sono parametri che vanno decisi prima di tutto a livello politico.

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