Denuncia per diffamazione: come si fa, termini e procedura

Isabella Policarpio

15/10/2019

Come si denuncia il reato di diffamazione alle autorità? Essendo una delitto non perseguibile d’ufficio occorre la querela della parte offesa. Vediamo come funziona e cosa si rischia.

Denuncia per diffamazione: come si fa, termini e procedura

La diffamazione è il reato previsto dall’articolo 595 del Codice penale e si definisce come l’offesa “all’altrui reputazione” comunicata a più persone mentre la vittima è assente.

La condotta diffamatoria può essere anche a mezzo stampa o su Facebook; in questi casi, dato che la diffusione delle offese è moltiplicata, le conseguenze penali sono più severe.

Il fine del diffamatore - qualsiasi sia il mezzo - è ledere la reputazione della vittima, ovvero l’opinione sociale, l’onore e la rispettabilità della persona all’interno del proprio contesto di vita. Per esserci diffamazione, quindi, devono sussistere tre presupposti:

  • dichiarazioni lesive per la reputazione di una persona;
  • presenza di più persone al momento in cui si pronuncia l’offesa;
  • assenza della vittima dell’offesa.

È importante precisare che la diffamazione è un reato distinto rispetto la calunnia e l’ingiuria, come avremo modo di spiegare nel dettaglio.

In questo articolo vedremo cos’è precisamente il reato di diffamazione, quando si considera commesso, come denunciare il fatto e cosa si rischia.

Reato di diffamazione: cos’è e come si denuncia

Per inquadrare il reato di diffamazione bisogna far riferimento all’articolo 595 del Codice penale: questa condotta sussiste ogni volta che una persona assente viene offesa, con qualsiasi mezzo, davanti a più persone. Presupposto della diffamazione è l’intenzione di divulgare informazioni che possano ledere l’integrità della persona a cui sono riferite e che gli uditori la percepiscano come tale.

Chi è vittima di diffamazione può reagire mediante querela alle Forze dell’ordine; il termine per presentare la querela è 3 mesi dalla avvenuta conoscenza delle offese. In questa sede si dovrà identificare il diffamatore e allegare delle prove (quando possibile) e dichiarare la volontà di perseguire il fatto penalmente.

Diffamazione, cosa si rischia e circostanze aggravanti

Chi commette il reato di diffamazione rischia la reclusione fino a un anno e una multa che ammonta a 1.059 euro. Tuttavia la legge prevede delle circostanze in cui la pena può essere aggravata dal giudice.
Queste circostanze sono:

  • quando il colpevole attribuisce un fatto determinato alla vittima. Qui al reclusione arriva a due anni e la multa a 2.065 euro;
  • offesa a mezzo stampa o altro mezzo di pubblicità. La reclusione aumenta fino a tre anni;
  • offesa rivolta a ad un’Autorità dello Stato, corpo politico, amministrativo o giudiziario., con multa fino a 6.000 euro.

Andiamo a vedere nello specifico le singole fattispecie di reato.

Diffamazione a mezzo stampa: reclusione fino a 3 anni

Il comma 3 dell’articolo 595 del Codice Penale stabilisce che la diffamazione se avvenuta per mezzo stampa, pubblicità o atto pubblico, è punibile con la reclusione da 6 mesi a 3 anni.

L’importo della multa, invece, non può essere inferiore ai 516 euro.
In questo caso però, vista la tutela della libertà della manifestazione del proprio pensiero garantita dall’articolo 21 della Costituzione, il reato di diffamazione non sussiste in presenza di determinate condizioni:

  • l’offesa riguardi un fatto di interesse pubblico: quindi se la tutela della reputazione della persona offesa è meno importante dell’interesse pubblico;
  • verità dei fatti narrati: non è reato di diffamazione il comportamento di una persona che diffonde notizie false ritenendole vere;
  • se le espressioni utilizzate, anche se offensive, siano pacate e contenute.
  • Se sussistono queste condizioni, quindi, l’offesa arrecata per mezzo di stampa non è configurabile come reato di diffamazione.

L’insulto su Facebook è reato di diffamazione?

A proposito di diffamazione a mezzo stampa, è molto importante ricordare che negli ultimi mesi la Corte di Cassazione ha identificato come reato punibile in forma aggravata anche l’insulto su Facebook.

Tuttavia, con la sentenza n°4873 del 1 febbraio 2017, Facebook viene riconosciuto come un mezzo di diffusione ma non di stampa.
Ecco perché l’offesa pubblicata sulla propria bacheca può essere punita con le aggravanti indicate nel 3 comma dell’articolo 595 del Codice Penale ma non per quelle previste dall’articolo 13 della legge 47/1948 riguardo all’attribuzione di un fatto determinato per mezzo della stampa.

Quindi, l’offesa rivolta tramite l’uso dei Social Network, come ad esempio Facebook, è comunque configurabile come reato di diffamazione aggravata, punibile con la reclusione fino ad un massimo di tre anni, ma non consente l’applicazione della Legge Speciale 47/1948 la quale per l’attribuzione di un fatto determinato per mezzo della stampa aggrava la pena fino a 6 anni di reclusione.

Diffamazione, calunnia e ingiuria: le differenze

Nel linguaggio comune spesso si fa molta confusione tra i termini diffamazione, ingiuria e calunnia, che invece sono molto diversi tra loro, anche dal punto di vista penale e sanzionatorio.

Per ingiuria si intende un’offesa rivolta ad una persona presente, in pratica un insulto faccia a faccia. La presenza della vittima è l’elemento caratterizzante dell’ingiuria e la differenzia dalla diffamazione in cui la vittima si trova altrove e le parole diffamatorie vengono rivolte ad altre persone.

Cosa ancor diversa è la calunnia che consiste nella falsa accusa ad una persona innocente. La calunnia è l’attribuzione di un reato in mala fede, significa che il colpevole deve essere consapevole che la vittima è innocente e vuole arrecargli un danno con volontariamente.

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# Reato

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