L’inflazione raggiunge i massimi dal 2008. Una situazione a molti sconosciuta. Cosa ci aspetta nei prossimi mesi? Vivremo un nuovo decennio come gli anni ’70?
Da questa estate l’inflazione americana si è posizionata su un livello superiore al 5%. Per la precisione, tra il 5,3% e il 5,4%.
Si tratta del livello più alto dal 2008 a oggi e, in generale, il livello maggiore degli ultimi 25 anni. Dobbiamo tornare agli anni ’90 per vedere un tasso di crescita dei prezzi come questo.
In Europa i livelli sono un po’ più bassi. In Italia e Francia, ad esempio, siamo poco sopra il 2%, ma già in Germania o Spagna navighiamo intorno al 4%. Questi livelli più bassi, però, non debbono ingannare, perché si tratta comunque di alcuni dei livelli più alti degli ultimi 25 anni.
Insomma, l’inflazione è tornata!
Inflazione, questa sconosciuta
Per i più giovani e comunque in generale per molti di noi, l’inflazione è un’emerita sconosciuta.
L’aumento della produttività dovuto alla tecnologia, le delocalizzazioni in Paesi con costo del lavoro più basso e, in Europa, un’ossessione per l’inflazione fin dal decennio precedente la nascita dell’euro, hanno fatto sì che il tasso di crescita dei prezzi sia sempre stato molto basso e quasi impercettibile. Negli ultimi anni abbiamo vissuto addirittura in un ambiente di deflazione.
Certo, per noi italiani e in parte per gli europei ci sono stati i rincari susseguenti all’entrata in vigore dell’euro. Ma sono stati comunque rincari marginali rispetto a quello che si è visto negli anni ’70 e ’80. Questo dati alla mano, poi ovviamente le percezioni personali sono le più disparate, perché quando si parla di aumento dei prezzi si parla sempre di media tra vari beni e servizi.
Ma torniamo agli aspetti generali.
L’inflazione attuale è senza dubbio ai massimi degli ultimi 20-25 anni. Per osservare un fenomeno inflattivo vero e proprio occorre ritornare agli anni ’70, quando l’improvviso aumento del prezzo del petrolio portò a una fiammata inflazionistica in tutto il mondo. Il successivo aumento dei salari fece il resto.
L’attuale fiammata sui prezzi può essere l’inizio di un nuovo decennio simile ai ’70? Vediamo le cause.
Perché l’inflazione sta crescendo?
L’aumento dei prezzi è partito dopo l’arrivo del Covid. Se in una prima fase la pandemia ha portato a un crollo dei prezzi e persino a una fase di deflazione, la successiva ripresa ha spinto l’inflazione verso l’alto. Di seguito le cause principali:
1 - i bassi prezzi di petrolio e materie prime negli ultimi anni hanno scoraggiato i nuovi investimenti. Con meno miniere, pozzi petroliferi e giacimenti di gas in funzione, ora che la domanda è ripresa non c’è offerta sufficiente e il risultato è l’aumento dei prezzi;
2 - c’è uno shortage su componentistica industriale specifica (in particolare semiconduttori);
3 - l’aumento dei prezzi delle materie prime ha fatto crescere a cascata tutti i prezzi di semilavorati, prodotti industriali, utenze e così via;
4 - gli stimoli monetari e fiscali stanno spingendo i consumi; questa è stata una buona cosa nella prima fase del Covid, per bilanciare una domanda repressa. Ora che si sta progressivamente tornando alla normalità, questi stimoli stanno amplificando la domanda generale, con conseguente pressione sui prezzi. E al momento non sembra esserci fretta nel ritiro degli stimoli.
Queste le cause principali, quindi, a questo punto non resta che comprendere se e come ci possano portare a un’inflazione come negli anni ’70.
Inflazione a doppia cifra?
Potenzialmente, tutti questi elementi possono portarci a un’inflazione a due cifre. Tuttavia, manca ancora una componente molto importante.
Si tratta dei salari, che al momento non stanno crescendo come i prezzi delle materie prime. La disoccupazione è ancora elevata e in quasi tutti i Paesi restiamo sopra i livelli pre-Covid. Quindi la pressione non è eccessiva.
Una cosa che non fa certo piacere ai lavoratori, perché se le materie prime crescono più dei salari allora vuol dire che si sta riducendo il potere d’acquisto. Il rovescio della medaglia, però, è che le imprese possono contenere i rincari dei prodotti finiti e dei servizi, limitandosi a coprire solo l’aumento delle materie prime.
Tuttavia, questo non è detto che sia strutturale. Storicamente, i salari ci mettono un po’ ad aggiustarsi, ma poi lo fanno. Inoltre, in alcuni settori specifici stiamo già sperimentando a livello mondiale uno shortage di lavoratori qualificati che impone alle imprese di aumentare gli stipendi per accaparrarseli.
Quindi attenzione, perché sebbene molti analisti siano concordi nel considerare questa fiammata inflazionistica temporanea, non è escluso che avremo delle brutte sorprese. Il che non vuol dire necessariamente un’inflazione a doppia cifra come negli anni ’70, ma potremmo averne comunque una strutturalmente più alta rispetto a quella dell’ultimo ventennio.
Inflazione e investimenti
Non potendo conoscere il futuro per ovvie ragioni, è sempre bene avere un portafoglio con investimenti capaci di guadagnare in uno scenario inflazionista, evitando al contempo quelli più a rischio.
Ad esempio, il reddito fisso non è molto allettante ora, considerando anche che molti bond pagano ancora rendimenti negativi. Molto meglio, su questo fronte, gli inflation-linked.
L’oro, che spesso fa bene nei periodi di inflazione, è rimasto fermo fino a ora. Ma spesso il metallo giallo parte rapidamente quando il prezzo sale. Una piccola quota, non superiore al 5% di un portafoglio ben equilibrato, non dovrebbe comunque fare male.
L’azionario, almeno fino a che non si arriva a un’inflazione eccessiva, può trarre giovamento dal rialzo dei prezzi. Il problema, semmai, sarà quando inizieranno a salire i tassi.
Con un buon mix di investimenti, anche la fiammata inflazionista può essere profittevole. O, quantomeno, ci si può difendere bene.
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