Dal settore alimentare alla moda, la presenza della Francia nelle attività italiane è sempre più ingombrante. Quando però sono gli italiani ad avanzare proposte (vedi Fca e l’affaire Fincantieri) i francesi sono pronti ad alzare paletti e costruire muri. La denuncia Coldiretti
Sempre più Francia in Italia e mai il viceversa.
Dopo la notizia della mancata fusione fra FCA e Renault dovuta alla mancanza «delle condizioni politiche», Coldiretti denuncia la presenza, spesso ingombrante, delle aziende francesi in Italia, in particolar modo nei settori strategici del Made in Italy come moda e alimentare.
Da Lactalis a Vivendi, tutti gli «sgarbi» dei cugini francesi
L’ultimo colpo messo a segno dai francesi in Italia è stato l’acquisizione de “La nuova Castelli”, il principale esportatore verso l’estero di Parmigiano Reggiano italiano.
Leggi anche Made in Italy addio: il parmigiano diventa francese.
L’operazione è stata portata a termine dalla Lactalis, l’azienda francese che già rilevò Parmalat dopo i guai finanziari e il crack dell’era Tanzi, ma negli ultimi anni i cugini d’Oltralpe hanno allungato le proprie mani senza freni su pezzi pregiati del Made in Italy, dall’alimentare alla moda, dalle banche all’energia fino alle telecomunicazioni.
È quanto afferma la Coldiretti in riferimento alla decisione di Fca di ritirare la proposta di fusione avanzata a Renault perché In Francia «non vi sono attualmente le condizioni politiche perché una simile fusione proceda con successo».
Leggi anche FCA-Renault, niente fusione: colpa della Francia?
Uno stop che secondo alcuni deriva dalle condizioni messe giù dal governo francese. Coldiretti infatti va giù pesante: «lo stop alla fusione Fca-Renault giunge a pochi giorni dal blitz della multinazionale Lactalis che estende così la presenza in Italia dopo che negli anni si è già comperata i marchi nazionali Parmalat, Locatelli, Invernizzi, Galbani e Cadermartori e controlla circa 1/3 del mercato nazionale in comparti strategici del settore lattiero caseario»
Negli anni i cugini d’Oltralpe hanno conquistato brand importanti che hanno fatto la storia del Made in Italy dalle banche (Bnl e Cariparma, e quote in Mediobanca) all’ energia (Edison), dalle telecomunicazioni con importanti quote Telecom Italia (Vivendi) fino al lusso con griffe come Gucci, Brioni, Pomellato e Bottega Veneta, Emilio Pucci, Bulgari, Fendi, Loro Piana e Repossi.
Raramente le aziende italiane hanno saputo resistere. Un unicum in tal senso può esser considerato Mediaset che fra il 2017 e 2018 ha saputo resistere alla scalata di Bollorè, grazie anche all’intervento del fondo Elliott (pedina forte anche nell’ostacolare il controllo dei francesi in Tim).
Poi lo sgarbo Fincantieri, dove il governo francese ha sbarrato la strada all’ingresso dell’italiana nella Stx, la società che controlla i porti di Chantiers de l’Atlantique.
Ma i francesi sono entrati nelle case degli italiani soprattutto con l’alimentare dove – continua la Coldiretti – oltre allo shopping di Lactalis i francesi sono presenti nella Fattoria Scaldasole, nella cantina Biondi Santi ma anche la Orzo Bimbo è stata acquisita dalla francese Nutrition&Santè S.A. nella catene di distribuzione GS con Carrefour.
E nello zucchero italiano c’è la mano francese su Eridania ed oggi 4 pacchi di zucchero su 5 consumati in Italia secondo la Coldiretti sono stranieri, soprattutto francesi e tedeschi.
Delocalizzazione dei centri decisionali e approvvigionamenti all’estero
Le acquisizioni – sostiene la Coldiretti – se non hanno svuotato gli stabilimenti tendono comunque a delocalizzare i centri decisionali e a privilegiare gli acquisti di materia prima d’Oltralpe mettendo così in difficoltà i produttori italiani.
Una presenza spesso ingombrante con la Lactalis che – denuncia la Coldiretti – ha appena minacciato di ridurre unilateralmente il prezzo del latte alla stalla sottoscritto solo pochi mesi fa con gli allevatori italiani.
«Ora devono essere resi pubblici tutti i termini dell’accordo e pretese adeguate garanzie sulle produzioni, sulla tutela delle denominazioni dalle imitazioni, sulla difesa dei posti di lavoro e sull’eventuale abuso di posizioni dominanti sul mercato lattiero caseario, strategico per il Made in Italy», sostiene il Presidente della Coldiretti Ettore Prandini.
«La tutela dei marchi storici è una necessità per l’agroalimentare nazionale dopo che ormai circa 3 su 4 sono già finiti in mani straniere e vengono spesso sfruttati per vendere prodotti che di italiano non hanno più nulla, dall’origine degli ingredienti allo stabilimento di produzione fino all’impiego della manodopera», conclude Prandini.
© RIPRODUZIONE RISERVATA