Licenziamento disciplinare: cos’è, preavviso, disoccupazione, come impugnare

Stefano D’Amico

1 Giugno 2021 - 06:30

Cosa fare in caso di licenziamento disciplinare: legittimità, preavviso, impugnativa, disoccupazione. Ecco tutto quanto ci occorre per dissipare dubbi e incertezze.

Licenziamento disciplinare: cos’è, preavviso, disoccupazione, come impugnare

Il licenziamento disciplinare non è proprio un felice evento - spesso attorno ruotano dubbio, incertezza, rassegnazione.
Ci sono però delle formalità che il datore di lavoro deve rispettare. La legge, infatti, pone dei paletti al potere datoriale in merito al licenziamento disciplinare.

Innanzitutto il licenziamento deve essere in forma scritta e corredato da una motivazione, in assenza di questa non è legittimo.
Nemmeno è legittimo in alcuni casi - più avanti vedremo quali - disporre il licenziamento del lavoratore senza garantirgli un periodo di preavviso.
Questo, nel contratto collettivo del commercio, ad esempio, è di 15 - 20 - 30 giorni a seconda del livello di retribuzione.

In ultimo, il lavoratore ha comunque la possibilità di opporsi al licenziamento disciplinare: entro 60 giorni deve consegnare al datore un atto scritto col quale contesta tale decisione. Per poi ricorrere in tribunale.

In fin dei conti, conoscendo un po’ meglio la normativa, si viene a sapere che il potere di licenziamento incontra dei limiti. Vediamo quali sono, cosa si può fare dinanzi a un licenziamento disciplinare, come impugnarlo, come si configura la disoccupazione (Naspi) e tutto ciò che c’è da sapere in materia.

Cos’è il licenziamento disciplinare

Il licenziamento disciplinare è la più grave delle sanzioni nelle mani del datore di lavoro. In linea generale il licenziamento può anche avere ragioni economiche e cioè essere deciso dal datore di lavoro per motivi di calo dell’attività, delle commesse, del giro d’affari, ma in questo approfondimento ci occupiamo esclusivamente dell’aspetto sanzionatorio del licenziamento - ovvero quando è disposto in seguito ad infrazioni o ad inadempienze degli obblighi contrattuali da parte del lavoratore.

Differenti sono le sanzioni che il datore di lavoro può irrogare. Vanno dall’ammonizione scritta, alla multa, finendo al licenziamento disciplinare.

Il licenziamento disciplinare, quindi, segue una notevole inadempienza del lavoratore, tale da compromettere il legame fiduciario datore di lavoro-dipendente.
La normativa però tutela il lavoratore nei confronti del potere datoriale.
Il datore di lavoro, detentore di una posizione dominante, ha l’obbligo di motivare il licenziamento.

Più avanti vedremo che la motivazione prende il nome di “giusta causa” e “giustificato motivo soggettivo”.

Tuttavia, per alcune categorie di lavoratori è ammesso il licenziamento senza motivazione:

  • lavoratori domestici (colf, badanti, baby sitter);
  • lavoratori durante il periodo di prova;
  • apprendisti al termine del periodo formativo;
  • lavoratori in possesso dei requisiti pensionistici di vecchiaia;
  • dirigenti.

Licenziamento disciplinare: posso prendere la disoccupazione?

In ossequio alle direttive del Ministero del lavoro, con circolare n° 142 del 2015 l’Inps ha chiarito che il licenziamento disciplinare e la Naspi sono compatibili.

Perciò il trattamento di disoccupazione spetta, indipendentemente, a tutti i lavoratori che hanno perso involontariamente il posto di lavoro.
La spiegazione?
Secondo l’Istituto il licenziamento sanzionatorio non è una conseguenza automatica dell’infrazione del dipendente, bensì è rimessa al potere discrezionale del datore. Ravvisando perciò in questo l’involontarietà del lavoratore nella perdita del posto.

Ricordiamo brevemente che la Naspi è concessa a tutti i lavoratori, in presenza di:

  • stato di disoccupazione involontario;
  • contribuzione utile per almeno 13 settimane nei 4 anni precedenti .

Il licenziamento disciplinare è per giusta causa?

Poco fa abbiamo accennato ai due tipi di motivazione del licenziamento disciplinare:

  • giusta causa;
  • giustificato motivo soggettivo.

Un licenziamento è comminato per giusta causa quando il lavoratore ha tenuto una condotta grave al punto da non consentire, nemmeno provvisoriamente, la prosecuzione del rapporto di lavoro.

Per questo è anche chiamato “licenziamento in tronco”.

Tra alcuni esempi di infrazione da cui discende la giusta causa troviamo:

  • appropriazione o danneggiamento volontario dei beni aziendali;
  • esecuzione di altra attività lavorativa durante l’assenza per malattia;
  • lite e annessa colluttazione con danno all’attività aziendale;
  • falsificazione e uso improprio del badge per la rilevazione delle presenze;
  • incorrere in un reato nella vita privata, tale da far venir meno il rapporto fiduciario con il datore di lavoro.

Il licenziamento per giustificato motivo soggettivo, invece, si verifica per inadempienze di minore entità. Si distingue dalla giusta causa sotto il profilo della gravità dell’infrazione. Deve ad ogni modo verificarsi un inadempimento contrattuale notevole (art. 2118 c.c.).

A differenza dal recesso per giusta causa, il licenziamento per giustificato motivo soggettivo consente la prosecuzione momentanea del rapporto e quindi la concessione del preavviso.

Licenziamento disciplinare: il preavviso previsto

Il periodo di preavviso è una regola fondamentale nel diritto del lavoro ed è previsto per tutti i tipi di cessazione del rapporto: licenziamento disciplinare o economico, dimissioni del lavoratore, pensionamento.

Come detto qualche riga più su, se il recesso del datore di lavoro è per giusta causa il licenziamento è in tronco. Questo è infatti l’unico caso in cui il lavoratore non ha diritto al periodo di preavviso.

Non esiste un periodo di preavviso standard per tutti i lavoratori, ma è da ricercare nel contratto nazionale collettivo applicato dall’azienda, ovvero il CCNL.

Nel CCNL del commercio, ad esempio, fino a 5 anni di servizio il preavviso è di:

  • 6° e 7° livello - 15 giorni di calendario di preavviso;
  • 4° e 5° livello - 20 giorni di calendario di preavviso;
  • 2° e 3° livello - 30 giorni di calendario di preavviso.

Oltre i 5 anni di servizio e fino ai 10:

  • 6° e 7° livello - 20 giorni di calendario di preavviso;
  • 4° e 5° livello - 30 giorni di calendario di preavviso;
  • 2° e 3° livello - 45 giorni di calendario di preavviso.

Ultimo ed importante tassello sul tema del licenziamento disciplinare riguarda l’indennità di mancato preavviso.

Se il datore di lavoro dispone un licenziamento disciplinare senza dare al lavoratore il periodo di preavviso previsto, questi dovrà pagare al dipendente licenziato l’indennità sostitutiva. Una specie di ristoro per il danno subìto.

Come impugnare un licenziamento disciplinare

Sei stato licenziato per motivi disciplinari e pensi che la decisione del datore di lavoro sia stata sproporzionata o addirittura priva di fondamento?

Una volta ricevuto il licenziamento disciplinare, il lavoratore può impugnarlo attraverso un atto scritto manifestando la volontà di contestarlo, anche chiedendo l’intervento delle organizzazioni sindacali.

Attenzione al termine di 60 giorni per opporsi, decorrenti dal ricevimento dell’atto di notifica dal datore di lavoro.
Superati i 60 giorni, non è più possibile accertare in giudizio l’illegittimità del provvedimento di espulsione.

Il lavoratore che ha impugnato il licenziamento nei termini, entro ulteriori 180 giorni, può proporre ricorso in tribunale o richiedere una conciliazione in sede protetta.

Dal canto suo, il datore di lavoro può revocare il licenziamento disciplinare entro 15 giorni dall’azione di impugnativa del dipendente.

Guida al datore di lavoro

In seno al potere datoriale, come detto, vi è il potere sanzionatorio.
In base alla gravità dell’infrazione commessa il datore di lavoro può emettere:

  • un rimprovero verbale;
  • un’ammonizione scritta ;
  • una multa (non superiore a 4 ore di retribuzione);
  • la sospensione dal servizio e dalla retribuzione (non superiore a 10 giorni);
  • il licenziamento disciplinare.

La scelta di intimare il licenziamento al lavoratore deve tenere in considerazione la procedura prevista dall’art. 7, legge 300/70:

  1. l’obbligo di pubblicità, ossia affissione del codice disciplinare estratto dal CCNL in un luogo accessibile ai dipendenti;
  2. la contestazione scritta, da consegnare al lavoratore, addebitandogli l’infrazione commessa;
  3. preservare il diritto di difesa del lavoratore. Con esclusione del rimprovero verbale, devono intercorrere almeno 5 giorni tra la contestazione scritta e il sanzionamento. Ed in questo lasso di tempo il lavoratore può produrre le sue giustificazioni;
  4. procedere con il licenziamento disciplinare nel caso in cui le giustificazioni risultino insufficienti o se il dipendente non le abbia fornite affatto.

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