Perché il boom delle materie prime mette a rischio la ripresa in Cina

Pierandrea Ferrari

20 Maggio 2021 - 13:23

La Cina, di fatto l’unica economia a scampare alla recessione lo scorso anno, ha varato un piano di costruzione e ammodernamento delle infrastrutture da 500 miliardi di dollari per sfuggire al più basso tasso di crescita degli ultimi decenni. Ma il boom delle materie prime, gonfiate dalla maxi-domanda post-stimoli, rischia di stoppare i lavori (anche negli USA).

Perché il boom delle materie prime mette a rischio la ripresa in Cina

La Cina si ritrova a fare i conti con il boom delle materie prime, che potrebbe mettere a rischio il piano di costruzione e ammodernamento delle infrastrutture da 500 miliardi di dollari, varato dai vertici di Pechino per rilanciare l’economia nazionale, magistralmente sfuggita alla recessione ma inchiodata su un tasso di crescita ai minimi da decenni.

La domanda per le commodity, che sta assottigliando la disponibilità sul mercato e facendo schizzare in alto i prezzi, è in forte aumento sulla scia degli stimoli (monstre) pompati nelle principali economie per contrastare le congiunture negative della pandemia, in un cortocircuito che rischia di affossare non solo le mire della Cina, ma anche quelle degli Stati Uniti.

Cina, ripresa a rischio con il boom delle materie prime

Di fatto, le quotazioni di tutte le materie prime tradizionalmente impiegate nel settore delle costruzioni stanno toccando nuovi picchi. Acciaio, carbone, vetro, cemento, plastiche, legno, la galoppata dei prezzi è trasversale. Ad esempio, il rebar, un particolare tipo di acciaio, è arrivato a toccare quota 965 dollari la tonnellata a Shanghai, +40% in un anno, mentre il ferro, dal quale si ottiene l’acciaio, è su nuovi massimi storici a 194 dollari sul Dalian Futures Exchange, +25% solo nel 2021.

Ma il grado dell’emergenza lo misura soprattutto il China producer index, ovvero l’indice che tasta i movimenti dei costi che i costruttori devono sostenere per l’approvvigionamento di materie prime. Ad aprile, il balzo è stato del 6,8% anno su anno, una statistica parzialmente condizionata dal confronto con il mese del lockdown 2020, ma che certifica comunque l’incremento più accentuato dall’ottobre 2017, dopo il +4,4% di marzo.

Il rilascio della pent-up demand, tuttavia, non arriva solo dalle costruzioni: il ramo green dell’automotive, ad esempio, preme sulla domanda di acciaio resistente per ridurre il peso e migliorare le performance delle auto non inquinanti come le elettriche e le ibride, senza dimenticare che sulla disponibilità di molte materie prime pesa anche il taglio delle emissioni della Cina, con il target della neutralità rispetto al clima fissato per il 2060.

Anche gli Stati Uniti esposti al rialzo dei prezzi

Insieme alla Cina, poi, sono gli Stati Uniti a trainare la domanda e a dettare il pump dei prezzi, con il maxi-piano di investimenti infrastrutturali da 2.000 miliardi di dollari proposto da Biden lo scorso marzo che rischia di farsi zavorrare dai costi incontrollati delle commodity. Ma quella di Biden è una scommessa a cui non si può abdicare, anche se a caro prezzo: i Dem puntano infatti sul rinnovamento delle infrastrutture per contenere l’ascesa del Dragone.

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