Nell’ora più buia della democrazia americana, con centinaia di estremisti Repubblicani all’assalto di Capitol Hill, i mercati finanziari hanno continuato a correre: ecco perché gli investitori stanno ignorando una delle più gravi crisi politiche del Novecento.
La prima democrazia del mondo si sta sgretolando. Nella serata di ieri, una fronda di estremisti ha assaltato Capitol Hill, dove Repubblicani e Democratici si erano riuniti per ratificare la nomina alla Presidenza degli Stati Uniti di Joe Biden, in conformità con il risultato della tornata elettorale dello scorso novembre.
Una degenerazione “sudamericana” intrisa del più tradizionale simbolismo a stelle strisce, tra cappelli da sciamano e bandiere confederate. In prima fila i Proud Boys e i Boogaloo, espressione della destra estrema statunitense, in una parata carnevalesca – con morti e feriti – che ha tenuto per ore gli occhi del mondo inchiodati su Washington.
L’obiettivo, come noto, era di scongiurare la ratifica del verdetto elettorale, in accordo con la chiamata alle armi di Donald Trump, poi costretto – su pressione della base Repubblicana – a tornare sui suoi passi. Ma era troppo tardi.
Una spirale di violenza, questa, ampiamente ignorata da Wall Street, con gli investitori che hanno continuato a piazzare le loro scommesse mentre il fuoco populista divampava nel cuore delle istituzioni americane. L’indice Dow Jones ha rivisto al rialzo il suo record storico – 31.000 punti – e anche l’S&P500, che tasta il polso di un paniere composto dalle prime cinquecento aziende USA in termini di capitalizzazione di mercato, si è mosso in territorio positivo.
Una performance per certi versi sorprendente, ma conforme con la natura stessa dei mercati finanziari, i cui umori dipendono tradizionalmente dalle congiunture economiche attese: i dettagli.
Washington nel caos, ma Wall Street guarda al futuro
A ben vedere, Wall Street aveva già dato dimostrazione di encomiabile resilienza durante la prima ondata della pandemia: mentre l’economia reale si scioglieva a colpi di provvedimenti restrittivi e stimoli fiscali al singhiozzo, infatti, i mercati azionari – fatta eccezione per il temporaneo sell-off di marzo – continuavano a vivere l’ennesima stagione del toro, con il segmento tecnologico della Borsa USA che ha persino abbracciato un rally irripetibile.
In quel caso fu soprattutto il tempestivo intervento delle banche centrali a scongiurare la ritirata degli investitori, con il Qe e la politica “dovish” sui tassi d’interesse che hanno finito per generare un entusiasmo quasi inopportuno delle piazze finanziarie.
Stavolta, invece, non è servito alcun agente esterno per rasserenare gli animi dei mercati, semplicemente perché l’umore di quest’ultimi è rimasto piuttosto tiepido durante l’assalto del Congresso: il presente non è una dimensione temporale particolarmente popolare nei salotti finanziari.
A preoccupare, piuttosto, è il futuro, e in tal senso l’esito è già chiaro: gli Stati Uniti sono in mano a Joe Biden, che nella serata di ieri – mentre i manifestanti ancora sventolavano le loro bandiere nelle sacre stanze del potere americano – ha tenuto il suo primo vero discorso alla nazione. Un segnale di speranza, per Wall Street.
Gli indici Dow Jones e S&P 500, che misurano lo stato di salute della finanza a stelle e strisce, sono balzati in avanti, immuni anche alla presa del Senato da parte dei Democratici, che potrebbe tradursi – grazie al controllo del partito dell’asinello di tutte le principali istituzioni statunitensi – nell’aumento delle tasse caldeggiato da Joe Biden.
Wall Street, infatti, in un imprevedibile slancio di ottimismo, ha scelto di non lasciarsi fiaccare da quella Blue wave che sembrava scongiurata due mesi fa. Con l’esito del ballottaggio in Georgia, del resto, non c’è solo il rischio di interventi correttivi sul sistema tributario americano, ma anche la possibilità di nuovi stimoli fiscali. Quanto basta, ai mercati, per continuare a correre.
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