Tra Matteo Salvini e Giancarlo Giorgetti ormai è guerra: ecco i motivi di questo scontro interno alla Lega e perché la vera posta in ballo è il futuro del governo Draghi.
La rottura tra Matteo Salvini e Giancarlo Giorgetti ormai è evidente. Se un tempo i due erano visti come il braccio e la mente della Lega, adesso questo simposio sembrerebbe essere giunto al capolinea con i rapporti tra i due che vengono descritti come ai minimi storici.
La goccia che avrebbe fatto traboccare il proverbiale vaso sarebbe stata l’intervista concessa a Bruno Vespa e contenuta nell’ultimo libro del giornalista, dove Giorgetti senza mezzi termini ha criticato la linea politica troppo sbilanciata verso il sovranismo da parte di Salvini.
Nonostante una sorta di rettifica da parte del ministro che ha parlato di parole estrapolate dal loro contesto, fonti vicine al leader della Lega parlano di un Matteo Salvini particolarmente irritato dall’uscita di quello che a lungo è stato considerato come il suo braccio destro.
Giancarlo Giorgetti così avrebbe lanciato una sorta di aut aut al suo segretario: “Matteo è abituato a essere un campione d’incassi nei film western. Io gli ho proposto di essere attore non protagonista in un film drammatico candidato agli Oscar. E’ difficile mettere nello stesso film Bud Spencer e Meryl Streep. E non so che cosa abbia deciso”.
In sostanza il ministro avrebbe invitato Salvini a mollare in Europa gli altri leader sovranisti, per cercare così di indirizzare la Lega verso il Partito Popolare. Un modo questo per modificare l’immagine del Carroccio, al fine di potersi accreditare con più autorevolezza nelle cancellerie estere come forza politica moderata e capace di poter guidare un Paese come l’Italia.
La riposta di Matteo Salvini non si è fatta attendere: una call con i sovranisti Viktor Orban e Mateusz Morawiecki giusto per ribadire qual è la sua linea e chi comanda nel partito, per poi convocare in tutta fretta un consiglio federale dove potrebbe esserci la resa dei conti tra l’ala governista guidata da Giancarlo Giorgetti e dai Presidenti di Regione e quella fedele al segretario.
Salvini, Giorgetti e il futuro del governo Draghi
Da questo scontro all’interno della Lega tra Matteo Salvini e Giancarlo Giorgetti non dipende solo il futuro del Carroccio, ma anche quello del governo Draghi e di conseguenza quello dell’attuale Presidente del Consiglio.
Non è un mistero infatti che Mario Draghi abbia degli ottimi rapporti con il suo ministro dello Sviluppo Economico, tanto che le cronache di Palazzo Chigi raccontano che tra i politici il banchiere si confronti solamente con Giancarlo Giorgetti.
Una stima più che reciproca, visto che il ministro sempre nel libro di Vespa così si è espresso in merito al futuro dell’ex numero uno della BCE: “Draghi potrebbe guidare il convoglio anche da fuori mettendo in piedi un semipresidenzialismo de facto, in cui il Presidente della Repubblica allarghi le sue funzioni approfittando di una politica debole”.
Considerando che Matteo Salvini da anni ambisce a diventare lui Presidente del Consiglio, queste parole assomigliano a una sfiducia verso il proprio segretario vista la proposta di svuotare i poteri di Palazzo Chigi travasandoli verso il Quirinale a causa di una “politica debole”.
A essere maligni ci può essere anche una diversa lettura. Se a febbraio non dovesse essere eletto Presidente della Repubblica, in molti stanno spingendo per far restare Mario Draghi alla guida del Governo almeno fino al 2026, anno in cui cesseranno di arrivare i 220 miliardi del PNRR.
Piccolo particolare non trascurabile: nel 2023 ci saranno le elezioni politiche e il centrodestra è il grande favorito, con una sfida tutta sovranista tra Giorgia Meloni e Matteo Salvini per diventare Presidente del Consiglio.
Draghi anche nella prossima legislatura potrebbe guidare un governo tecnico solo in caso di un pareggio elettorale. Per creare questo presupposto occorre spaccare il centrodestra o cambiare la legge elettorale, adottando un proporzionale puro come ai tempi della Prima Repubblica.
Le picconate da parte di Giorgetti a Salvini così potrebbero essere il presupposto per la nascita di un nuovo fronte moderato, da Berlusconi a Calenda passando per Renzi, capace di essere una sorta di terzo polo che alle urne renderebbe inevitabile un pareggio e, di conseguenza, le larghe intese per dare vita a un nuovo Governo che ca va sans dire potrebbe essere presieduto sempre da Draghi.
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