Le convivenze di fatto sono un tipo di legame ormai diffuso, alternativo al matrimonio. Cosa dice la legge in caso di separazione dei conviventi con figli?
Se la convivenza di fatto ha spodestato il matrimonio dal gradino più alto del podio delle unioni affettive, ciò non vuol dire che la separazione dei conviventi sia ipotesi meno ricorrente nella prassi.
Quando si va incontro ad una separazione dei conviventi con figli, poi, essere informati sui propri diritti, in qualità di genitori, è il primo passo per tutelare le ragioni della prole contro le eventuali ma non rare incomprensioni, ritorsioni e ripicche tra ex.
Vediamo perché.
Separazione dei conviventi con figli: guida breve
- Cosa sono le convivenze di fatto
- «Separazione naturale» dei conviventi e diritto alla casa
- Separazione dei conviventi e casa familiare
- Separazione dei conviventi e status di figlio
- Separazione dei conviventi e mantenimento dei figli
- Separazione dei conviventi e affidamento dei figli
- Separazione dei conviventi e alimenti
Cosa sono le convivenze di fatto
Nel giugno 2016, dopo anni di silenzio legislativo, è entrata in vigore la cd. Legge Cirinnà (legge 76/2016), volta a regolamentare le convivenze di fatto (oltre alle unioni civili).
Un tempo dette convivenze « more uxorio », sono oggi regolate dall’art. 1, dai commi dal 36 al 65 della suddetta legge.
Affinché si abbia una convivenza di fatto (tra persone maggiorenni), per legge è necessario che vi siano:
- unità stabile di legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale, non collegata a rapporti di parentela, affinità o adozione, matrimonio o un’unione civile;
- coabitazione in dimora dello stesso comune.
Nel caso in cui le stesse non siano residenti, coabitanti e iscritti sul medesimo stato di famiglia è necessario rivolgersi allo sportello anagrafico per effettuare la variazione di residenza o abitazione.
«Separazione naturale» dei conviventi: diritto alla casa
A prescindere dai molti diritti reciproci riconosciuti dalla Legge Cirinnà ai conviventi di fatto, diverse norme e sentenze giudiziarie sono state dedicate, nel tempo, alla casa nella quale i conviventi hanno vissuto.
Innanzitutto, rispetto all’abitazione e al diritto a disporre della casa nella quale si è abitato con il convivente, l’articolo 1 della Legge Cirinnà, al comma 42 riconosce il diritto a continuare ad abitare nella casa comune di residenza, per un periodo non inferiore a tre anni, ove nella stessa coabitino figli minori o figli disabili del convivente superstite.
Ne discende che, nei casi di «separazione naturale», dovuta alla morte di uno dei due, il convivente superstite, a prescindere dal titolo di proprietà, ha diritto di rimanere nella casa assieme ai figli minori o disabili per non meno di tre anni dall’avvenuta morte.
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Separazione dei conviventi con figli e casa familiare
Rispetto all’origine di un simile diritto, la Corte di Cassazione (sentenza 17191/2015) ha avuto modo di precisare il principio generale secondo cui
«la convivenza more uxorio (...) determina sulla casa di abitazione (...) un potere di fatto basato su di un interesse proprio del convivente ben diverso da quello derivante da ragioni di mera ospitalità (...). Ne consegue che l’estromissione violenta o clandestina dall’unità abitativa, compiuta dal convivente proprietario in danno del convivente non proprietario, legittima quest’ultimo alla tutela possessoria, consentendogli di esperire l’azione di spoglio».
Specificazione di questo principio (sancito nella stessa sentenza), è quello in base al quale in caso di separazione classica e in presenza di figli minori nati da due (ex) conviventi, l’immobile adibito a casa familiare
- è assegnato al genitore collocatario dei minori anche se non proprietario dell’immobile o conduttore (per contratto di locazione);
- il diritto di rimanere nell’immobile adibito a casa familiare persiste fino a che i figli non siano autosufficienti.
In caso di separazione di conviventi con figli, in altre parole, il genitore collocatario dei figli potrà rimanere nella casa familiare assieme ai figli - in virtù di una posizione di «detenzione qualificata» verso il bene - anche qualora l’ex convivente fosse il proprietario dell’immobile e, improvvidamente, avesse venduto il bene ad un’altra persona.
Separazione dei conviventi e status di figlio
La L. n. 219 del 10/12/2012 sulla filiazione naturale e il D.lgs. n.154 del 28/12/2013, hanno parificato la condizione giuridica di tutti i figli, a prescindere dal fatto di essere nati da un matrimonio tradizionale o da una convivenza di fatto.
In buona sostanza, i figli, per l’ordinamento italiano, godono tutti degli stessi diritti, non importa se nati dentro o fuori dal matrimonio.
Separazione dei conviventi e mantenimento dei figli
Posto che, per legge, non vi è più alcuna differenza tra figli nati da genitori conviventi di fatto oppure da genitori coniugi, si seguono le disposizioni del codice civile.
In particolare, in virtù dell’art. 316 bis i genitori devono adempiere i loro obblighi nei confronti dei figli in proporzione alle rispettive sostanze e secondo la loro capacità di lavoro professionale o casalingo.
Precisa la Corte di Cassazione (Cass. civ. n. 3302/2017) che l’obbligo di contribuire al mantenimento del figlio nato da una convivenza da parte del genitore non affidatario o collocatario, decorre dalla effettiva cessazione della coabitazione dei genitori.
I conviventi separati, rispetto al mantenimento dei figli, potranno:
- giungere a un accordo di mantenimento, con il quale definiranno, senza intervento del giudice, il contributo economico dovuto da ognuno di essi;
- rivolgersi al giudice, con apposito ricorso, in caso di mancato accordo su entità o modalità del mantenimento.
La legge prescrive infatti che ciascuno degli ex conviventi, se sprovvisto dei mezzi, possa rivolgersi al Tribunale per far ordinare con decreto che una quota dei redditi dell’obbligato, in proporzione agli stessi, sia versata direttamente all’altro genitore o a chi sopporta (ex art. 147 c.c.) le spese per il mantenimento, l’istruzione e l’educazione della prole.
Separazione dei conviventi e affidamento dei figli
In virtù dell’articolo 337 quater, l’affidamento condiviso ad entrambi i genitori ex conviventi è la regola.
L’affido esclusivo, in effetti, può essere deciso dal giudice (del Tribunale ordinario) solo allorché quello condiviso sia pregiudizievole per l’interesse del minore, non dovendosi ritenere precluso neanche in quelle ipotesi in cui ci sia una forte conflittualità tra ex conviventi, «poiché avrebbe altrimenti una applicazione solo residuale» (cfr. Cassazione civile, Sez. I, sentenza n. 16593/2008).
Ne discende che entrambi i genitori ex conviventi hanno uguale diritto all’affidamento condiviso del figlio, a meno che uno dei due, giudizialmente, non dimostri che è pregiudizievole per l’interesse del minore.
La regola dell’affidamento condiviso, peraltro, a detta dei giudici, "non è negoziabile dai genitori e, soprattutto, non è ammissibile una rinuncia all’affido bigenitoriale da parte di uno dei partners, in quanto trattasi di un diritto del fanciullo e non dei genitori”.
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Separazione dei conviventi e alimenti
Se rispetto alla disciplina del mantenimento e dell’affido i figli «naturali» (nati fuori da un matrimonio) vanno incontro allo stesso trattamento applicato ai «figli legittimi» (nati in corso di matrimonio), il convivente non autosufficiente non ha diritto all’assegno di mantenimento da parte dell’ex in condizioni di difficoltà economica, ma solo diritto agli alimenti.
In virtù dell’articolo 1, comma 65 della Legge Cirinnà, in caso di cessazione della convivenza di fatto, chi vuole beneficiare degli alimenti deve rivolgersi direttamente al giudice.
Sarà questi a stabilire il diritto del convivente di ricevere dall’altro convivente gli alimenti qualora versi
- in stato di bisogno;
- non sia in grado di provvedere al proprio mantenimento.
Qualora ricorrano tali ipotesi, gli alimenti sono comunque assegnati
- per un periodo proporzionale alla durata della convivenza;
- in proporzione del bisogno di chi li domanda e delle condizioni economiche di chi deve somministrarli (non devono tuttavia superare quanto sia necessario per la vita dell’alimentando, avuto però riguardo alla sua posizione sociale).
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