Il mantenimento dall’ex coniuge non ha una durata prestabilita, ma in alcune occasioni potresti comunque perdere il diritto all’assegno. Ecco quando.
L’assegno di mantenimento all’ex coniuge (che tecnicamente dopo il divorzio assume il nome di assegno divorzile) è un tema piuttosto delicato. Per il beneficiario può rappresentare una fonte indispensabile di reddito per provvedere al proprio sostentamento, talvolta ben oltre, mentre per l’ex coniuge obbligato può trattarsi di un impegno faticoso da sopportare. Ovviamente, l’assegno di mantenimento deve essere corrisposto nei modi stabiliti dal giudice, indipendentemente dagli eventuali dubbi delle parti.
Allo stesso tempo, al mutare di alcune condizioni è possibile chiedere una revisione dello stesso, per esempio per ottenere un aumento o al contrario revocare il beneficio. Sapere quando si perde il diritto al mantenimento dall’ex coniuge è quindi fondamentale per entrambe le parti. Chi lo paga deve infatti riconoscere le condizioni che gli permettono di agire in giudizio per liberarsi di quest’onere, mentre chi lo riceve dovrebbe prevedere la perdita del diritto per non trovarsi in difficoltà. Vediamo cosa stabilisce in proposito, anche grazie alle numerose sentenze sull’argomento.
Fino a quando l’ex ha diritto al mantenimento
Chiariamo subito che la legge non prevede una durata generale per il pagamento dell’assegno di mantenimento all’ex moglie o all’ex marito. Tendenzialmente, per la natura stessa di questa obbligazione, si tratta di un dovere a vita o comunque molto prolungato. Ciò avviene perché il mantenimento, a maggior ragione in seguito al divorzio, viene previsto dal giudice soltanto quando c’è una disparità reddituale fra i coniugi e quello più debole economicamente non è in grado di provvedere in autonomia al proprio sostentamento, ovviamente in maniera incolpevole.
Ormai la Cassazione ha sancito che l’assegno divorzile ha anche una funzione perequativa, dovendo in qualche modo compensare i sacrifici economici e professionali sopportati dal coniuge più fragile per l’interesse della famiglia e di comune accordo con l’ex. In linea generale, quindi, chi ha diritto al mantenimento da parte dell’ex moglie o dell’ex marito non è in grado di mantenersi né di poter raggiungere la piena autonomia. Di solito ciò accade per una concomitanza di fattori come l’età avanzata, la mancanza di esperienza lavorativa e/o di formazione, eventuali problemi di salute e così via. Ciò non toglie, tuttavia, che le condizioni possano mutare e in questi casi è necessario ricorrere al tribunale per una revisione, non potendo autonomamente modificare l’assegno di mantenimento stabilito dalla sentenza di separazione o divorzio.
Quando si perde il mantenimento dall’ex
La perdita del diritto all’assegno di mantenimento da parte dell’ex coniuge può avvenire sostanzialmente per due ragioni:
- il beneficiario acquisisce autosufficienza economica o migliora significativamente la propria situazione reddituale;
- l’ex coniuge obbligato subisce una netta riduzione del proprio reddito e non è più in grado di sopportare il versamento dell’assegno.
Di conseguenza, perde il diritto al mantenimento il coniuge che trova lavoro, come anche quello che dopo la separazione non si adopera colpevolmente per rendersi indipendente. Anche il coniuge che accetta un’eredità ingente perde il diritto al mantenimento, come pure chi intraprende un nuovo progetto di vita con un nuovo partner (peraltro anche senza una vera e propria convivenza). In quest’ultimo caso, però, la Corte di Cassazione continua a riconoscere parte dell’assegno divorzile rivolto alla sola funzione compensativa.
Quanto alla perdita dovuta alle condizioni economiche dell’ex coniuge obbligato è invece opportuno considerare che la diminuzione della capacità economica deve essere debitamente comprovata e motivata, non attenendo a un momento passeggero e poco influente sulla vita del soggetto, ma a un vero e proprio cambiamento delle sue possibilità finanziarie. Per esempio, una condizione di salute sopraggiunta che provoca la perdita della capacità lavorativa o la perdita del lavoro senza facili possibilità di trovare un’altra occupazione. Anche la nascita di un nuovo figlio può comportare la revoca o almeno la riduzione dell’assegno, tenendo conto delle prioritarie esigenze del minore del soggetto obbligato, a seconda del suo reddito.
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