Stipendio, guida ai diritti del lavoratore dipendente: entro quando va pagato, da cosa è composto e quali sono le regole in merito alla possibilità di pignoramento.
Lo stipendio è, da definizione, quella retribuzione mensile corrisposta come compenso per un lavoro svolto. Spetta uno stipendio a tutti i lavoratori subordinati, così come agli apprendisti; non si può parlare di stipendio, o retribuzione, invece, nel caso dei tirocinanti, ai quali spetta comunque un’indennità variabile a seconda della tipologia e dell’orario dello stage.
Lo stipendio è dunque un diritto del lavoratore dipendente, al quale va pagato entro un certo giorno del mese e secondo le modalità stabilite dalla normativa: come stabilito dalla legge n. 205 del 2017 (legge di Stabilità del 2018), infatti, le retribuzioni o i compensi dei lavoratori, sia subordinati che collaboratori, vanno corrisposti con mezzi tracciabili.
Lo stipendio si compone di varie voci: c’è la parte fissa, calcolata tenendo conto dei valori tabellari indicati dal contratto nazionale del lavoro del settore di riferimento, a cui si aggiungono straordinari e altre indennità variabili a seconda del ruolo, del settore e della mansione svolta. Quanto guadagnato ogni mese, dunque, rappresenta la somma di tutte queste voci, sulle quali poi vanno considerate anche TFR, tredicesima ed eventualmente quattordicesima. Il tutto è comunque indicato nel documento riepilogativo che il datore di lavoro deve consegnare ogni mese, la cosiddetta busta paga.
Guida allo stipendio per il lavoratore dipendente
Stipendio: di quali voci si compone
Come anticipato, possono essere diversi gli elementi che costituiscono la retribuzione nel lavoro dipendente. Questi possono variare da lavoratore a lavoratore, in quanto sono diverse le fonti che possono determinare lo stipendio.
Gerarchicamente, comunque, abbiamo la legge che ne fissa i caratteri generali: intervengono poi gli accordi interconfederali e la contrattazione collettiva, fissando dei parametri sotto i quali non è possibile andare. È comunque facoltà del datore di lavoro, nell’ambito della contrattazione individuale, prevedere delle condizioni maggiormente favorevoli per il lavoratore.
Solitamente, comunque, lo stipendio è composto dalle seguenti voci:
- retribuzione fissa mensile, calcolata in base alle ore di lavoro svolto e quanto indicato nel CCNL e nel contratto individuale;
- eventuali mensilità aggiuntive: tredicesima, sempre, e in alcuni casi quattordicesima;
- compensi relativi alla variazione dell’orario di lavoro, come può essere lo straordinario o il lavoro notturno;
- eventuali indennità sostitutive percepite nel corso del mese: ad esempio indennità di malattia, o anche l’indennità sostitutiva per i congedi di maternità e paternità.
Su ogni stipendio mensile viene poi accantonata una quota di trattamento di fine rapporto - TFR - che verrà corrisposta alla cessazione del rapporto di lavoro.
Possiamo comunque riassumere dicendo che lo stipendio si compone di una parte fissa e di una accessoria. Della prima fanno parte:
- minimi contrattuali, ossia la retribuzione minima dovuta al lavoratore come fissata dai contratti collettivi. Questi variano a seconda del grado e della qualifica del lavoratore. Come anticipato, il contratto individuale può solamente superare i minimi contrattuali previsti dal CCNL, non potendo dunque pagare al dipendente uno stipendio più basso di quanto stabilito dagli accordi di categoria;
- indennità di contingenza: quel meccanismo di adeguamento salariale periodico insito ormai nel minimo contrattuale di quasi tutti i contratti collettivi;
- EDR - elemento distinto della retribuzione: d’importo pari a 10,33€, che dal 1° gennaio 1993 viene riconosciuto a tutti i lavoratori del settore privato, eccetto i dirigenti.
Per elementi accessori della retribuzione si intende invece la parte variabile, la quale può dipendere da una serie di fattori. Dal lavoro straordinario, ad esempio, ma anche dai premi di produzione o da altre indennità riconosciute a seconda del lavoro svolto.
Stipendio netto e lordo
Sullo stipendio vanno considerate tasse e contributi.
Una parte dello stipendio lordo, infatti, viene versata all’Inps come contribuzione utile ai fini della pensione: solitamente le aliquote delle contribuzioni ai fini pensionistici (IVS) nel lavoro dipendente sono pari al 33%. Solamente una parte però è a carico del lavoratore dipendente: il 9,19% solitamente, ma nel 2022 - per effetto dell’introduzione del cosiddetto bonus contributi nell’ambito della riforma fiscale - questa quota è stata ridotta all’8,39% ma solo per coloro che hanno una retribuzione annua lorda (la cosiddetta RAL) non superiore ai 35 mila euro.
Sullo stipendio lordo vengono poi effettuare altre trattenute: c’è quella relativa alle aliquote Irpef, anche queste modificate - con i relativi scaglioni di reddito dalla legge di Bilancio 2022.
SCAGLIONI IRPEF 2022 | REDDITO | ALIQUOTE IRPEF 2022 |
---|---|---|
1° scaglione | fino a 15mila euro | 23% |
2° scaglione | da 15.000 a 28mila euro | 25% |
3° scaglione | da 28.000 a 50mila euro | 35% |
4° scaglione | oltre i 50mila euro | 43% |
Da queste poi vanno considerate eventuali detrazioni, come quelle per familiari a carico (da marzo 2022 spariscono quelle per figli under 21) o quelle previste per il lavoro dipendente. Anche quest’ultime sono state modificate con la riforma fiscale 2022, insieme al trattamento integrativo conosciuto anche come bonus Renzi.
Altre trattenute da apportare sullo stipendio netto sono quelle a titolo di addizionali regionali e comunali, le quali appunto variano a seconda di dove ci si trova.
Quando deve essere pagato lo stipendio
Tra i diritti del lavoratore c’è quello di ricevere lo stipendio entro un certo termine. Per quanto riguarda le tempistiche di pagamento bisogna fare riferimento al contratto di categoria, il quale fissa una data limite in cui la retribuzione deve essere corrisposta al lavoratore dipendente.
Solitamente viene stabilito che lo stipendio deve essere pagato entro la prima settimana, o dieci giorni, del mese successivo a quello a cui si fa riferimento. È dovere del datore di lavoro consegnare anche la busta paga. Diverso il caso dei lavoratori dipendenti nel settore pubblico, ai quali lo stipendio viene pagato verso la fine del mese.
In caso di stipendio non pagato o comunque pagato in ritardo il datore di lavoro può fare la segnalazione all’Ispettorato territoriale del lavoro, ed eventualmente - in caso di recidiva - può anche rassegnare le dimissioni in tronco.
Come deve essere pagato lo stipendio
Non basta pagare lo stipendio entro le scadenze previste per poter essere in regola. Come anticipato, infatti, la legge n. 205 del 2017 indica anche quali sono le modalità con cui questo deve essere pagato.
Nel dettaglio, non è più consentito il pagamento dello stipendio in contanti, pena una sanzione amministrativa pecuniaria nei confronti del datore di lavoro per un importo che va dai 1.000 ai 5.000 euro per ciascun pagamento. La retribuzione va dunque corrisposta utilizzando dei mezzi di pagamento tracciabili, come può essere il bonifico - sistema più utilizzato dai datori di lavoro - o anche gli assegni bancari o circolari.
Lo stipendio può essere pignorato
Nel caso in cui il lavoratore dipendente risultasse debitore nei confronti di soggetti terzi, lo stipendio potrebbe essere oggetto di pignoramento. In caso di via libera da parte di un giudice, dunque, lo stipendio potrebbe rientrare tra quei beni che possono essere “aggrediti” dai creditori. Questo strumento, che rientra nell’ambito del pignoramento presso terzi, autorizza dunque il datore di lavoro a sottrarre una quota dello stipendio del lavoratore per pagarla ai suoi creditori.
Si tratta comunque di una piccola parte dello stipendio in quanto la normativa stabilisce che in ogni caso al lavoratore va garantito il minimo vitale. Nel dettaglio, è pignorabile da ogni creditore massimo 1/5 dello stipendio, e in ogni caso al lavoratore va garantita almeno la metà della sua retribuzione.
© RIPRODUZIONE RISERVATA