Tragitto casa-lavoro, la guida: cosa c’è da sapere su orario, stipendio e infortunio

Simone Micocci

8 Novembre 2021 - 17:23

Spostamenti casa-lavoro: quali tutele? Ecco cosa serve sapere in merito a orario di lavoro, diritto alla retribuzione e rischio infortuni e incidenti.

Tragitto casa-lavoro, la guida: cosa c’è da sapere su orario, stipendio e infortunio

Il tragitto e il tempo dedicato allo spostamento tra casa e sede di lavoro sono spesso oggetto di osservazioni e chiarimenti da parte della giurisprudenza.

Le domande che solitamente il lavoratore si pone riguardano l’orario di lavoro e il rischio infortuni. Nel primo caso, infatti, ci si chiede se il tempo impiegato per spostarsi da casa a lavoro, sia all’andata che al ritorno, può essere compreso nell’orario di lavoro e quindi retribuito in quanto tale. Nel secondo, invece, il lavoratore si chiede cosa succede in caso di infortunio o incidente, ossia se anche in questi casi c’è la copertura assicurativa INAIL.

Domande che i lavoratori hanno cominciato a porsi specialmente nel post-pandemia, dopo che il ricorso allo smart working ha messo in risalto molte nuove tematiche. Il risparmio di soldi e tempo per chi può lavorare a casa, d’altronde, è innegabile, tant’è che secondo un recente studio in un anno si guadagnano 1.450,00€ in più.

Vediamo, quindi, di rispondere ai suddetti dubbi riguardanti il tragitto casa-lavoro (e viceversa), facendo chiarezza su quanto spiegato dalla giurisprudenza in questi anni.

Tragitto casa-lavoro e orario di lavoro: quando lo spostamento è retribuito

Nella quasi totalità dei casi, nell’orario di lavoro non è compreso il tempo necessario per arrivare nella sede d’impiego. Non ci sono, infatti, regole che impongono al datore di lavoro di considerare un tale spostamento nell’orario di lavoro. D’altronde nessuno è obbligato ad accettare un lavoro molto lontano da casa: al momento della valutazione dell’offerta lavorativa si può decidere se, al netto di tutte le condizioni lavorative, sia conveniente accettare un lavoro molto distante da casa oppure se è meglio rifiutare.

Possono poi esserci dei contratti di lavoro che prevedono delle agevolazioni per i dipendenti, come ad esempio il rimborso per le spese sostenute per spostarsi. Ma ribadiamo: non è un obbligo.

C’è solo una situazione in cui, per legge, è obbligatorio riconoscere nell’orario di lavoro il tempo impiegato per spostarsi. Lo ha stabilito la Corte di Giustizia europea con la sentenza C-266/2014, in applicazione della direttiva comunitaria sull’orario di lavoro (la CE 88/03) recepita dal nostro ordinamento grazie al decreto legislativo 66/03.

Nel dettaglio, la suddetta sentenza ha stabilito che gli spostamenti casa-lavoro vanno compresi nell’orario di lavoro nel caso di quei lavoratori che non hanno un luogo di lavoro fisso e sono impegnati in spostamenti quotidiani decisi dal datore di lavoro. Si pensi, ad esempio, agli agenti di commercio, ma anche ad alcuni addetti alle consegne.

Una novità visto che fino ad allora la normativa italiana riconosceva nell’orario di lavoro di questi dipendenti solo quei tragitti inseriti all’interno dell’orario lavorativo, escludendo dunque quelli da e per la propria abitazione.

Con la suddetta sentenza, invece, tali tragitti vanno compresi ma solamente nel caso in cui sia il datore di lavoro a scegliere la sede del primo appuntamento. In tal caso, infatti, il dipendente non ha la facoltà di scegliere liberamente il percorso di lavoro, né tanto meno le tempistiche di riposo. Serve dunque riconoscere - sia nell’orario che nello stipendio - il tempo impiegato sia per spostarsi da casa al primo cliente, sia quello per il ritorno dopo l’ultimo appuntamento.

Il tutto nel rispetto della definizione data dalla normativa UE all’orario di lavoro, inteso come “qualunque momento in cui il lavoratore eserciti la sua attività o le sue funzioni, a disposizione del datore di lavoro, conformemente a quanto prevede la normativa nazionale”.

Cosa succede se ci si fa male nel tragitto casa-lavoro?

L’articolo 12 del D.lgs 38/2000 definisce l’infortunio in itinere come quell’infortunio occorso ai lavoratori che muovendosi su strada compiono il tragitto di andata e ritorno tra:

  • l’abitazione e il luogo di lavoro;
  • due luoghi di lavoro;
  • il luogo di lavoro e quello di abituale consumazione dei pasti per le aziende sprovviste di una mensa propria.

In questo ambito rientra tanto l’infortunio a piedi quanto l’incidente con la propria auto. Quest’ultima, però, viene indennizzata solo nel caso in cui sussistano determinate condizioni, quali:

  • il mezzo è fornito o prescritto dal datore di lavoro per esigenze lavorative;
  • il luogo di lavoro è irraggiungibile con i mezzi pubblici oppure è raggiungibile ma non in tempo utile rispetto al turno di lavoro;
  • i mezzi pubblici obbligano ad attese eccessivamente lunghe o comportano un rilevante dispendio di tempo rispetto all’utilizzo del mezzo privato;
  • la distanza della più vicina fermata del mezzo pubblico, dal luogo di abitazione o dal luogo di lavoro, deve essere percorsa a piedi ed è eccessivamente lunga.

Di fatto, bisogna dimostrare che l’utilizzo del mezzo proprio era la soluzione più conveniente per recarsi al lavoro nel rispetto degli orari.

Si ricorda, poi, che con l’approvazione della Legge 221/2015, recante “Disposizioni in materia ambientale per promuovere misure di green economy e per il contenimento dell’uso eccessivo di risorse naturali”, anche l’utilizzo della bicicletta viene considerato come meritevole d’indennizzo nel caso in cui si risultasse vittime d’incidenti nel tragitto casa-lavoro.

Ma quanto questo tragitto può essere “modificato”? Eventuali interruzioni o deviazioni sono coperte dalla polizza assicurativa solo quando sono:

  • effettuate in seguito a una direttiva del datore di lavoro;
  • dovute a causa di forza maggiore;
  • dovute a esigenze essenziali e improrogabili;
  • effettuate per adempiere a obblighi penalmente rilevanti;
  • effettuate per esigenze costituzionalmente rilevanti (ad esempio, per accompagnare i figli a scuola);
  • brevi soste che non alterano le condizioni di rischio.

Qualora sussistano le suddette condizioni, dunque, sarà l’assicurazione obbligatoria INAIL a coprire l’incidente avvenuto, sia nei casi più gravi (morte o inabilità permanente) che in quelli meno (inabilità assoluta temporanea per più di tre giorni).

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