L’ultimo report dell’Ocse sulle prospettive dell’occupazione segnala il rischio di un netto calo per il salario reale in Italia: a causa dell’inflazione gli stipendi varranno sempre meno.
L’inflazione distrugge il potere d’acquisto degli italiani e gli stipendi dei lavoratori del nostro Paese saranno sempre più insufficienti per far fronte al caro vita. I salari reali, infatti, scenderanno in Italia del 3%, secondo le proiezioni contenute nelle prospettive dell’occupazione Ocse appena pubblicate.
Il problema riguarderà l’Italia più degli altri paesi Ocse, in cui la media del calo dei salari reali sarà del 2,3% contro il 3% di Roma. Nel rapporto si sottolinea come la crescita del salario nominale in Italia rimane debole, nonostante l’aumento della tensione nel mercato del lavoro.
Nel secondo trimestre del 2022, la crescita annua dei salari orari negoziati è stata dell’1%, a fronte di un’inflazione del 6,9% (per quanto meno sostenuta che nella media Ocse, vicina al 10%). Ricordiamo che il salario reale corrisponde alla quantità di beni che un lavoratore può acquistare grazie alla sua paga: non è quindi il valore assoluto della paga (ovvero il salario nominale), ma quanto il lavoratore riesce ad acquistare attraverso il suo stipendio.
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L’allarme dell’Ocse sui salari reali
L’aspettativa dell’Ocse è che i salari reali diminuiranno in tutti i paesi dell’area nel 2022, anche perché l’inflazione resterà elevata. In Italia la perdita di valore dei salari reali sarà addirittura superiore al 3% e peggio andrà solamente in Spagna, con il 4,2%.
In generale i salari sono calati in termini reali nonostante una crescita occupazionale sostenuta e una diffusa carenza di manodopera. L’Ocse sottolinea che tra la fine del 2021 e l’inizio del 2022 la crescita dei salari nominali (quindi, di fatto, le busta paga) ha raggiunto livelli elevati, ma comunque si tratta di un aumento minore rispetto all’inflazione degli ultimi mesi.
In Europa, per esempio, il valore dei salari reali è cresciuto del 2,8% a fronte di un 6,1% di inflazione nel primo trimestre del 2022. Il calo colpisce maggiormente le categorie con retribuzioni più basse, che sono già coloro i quali hanno pagato maggiormente la crisi dovuta alla pandemia di Covid.
La carenza della manodopera
Tra i problemi segnalati dall’Ocse c’è la carenza di manodopera in tutti i Paesi, ritenuta senza precedenti. Nell’Ue tre aziende su dieci (sia del manifatturiero che dei servizi) hanno visto una contrazione della produzione nel secondo trimestre del 2022 proprio per la mancanza di lavoratori.
Il problema riguarda soprattutto i settori a bassa retribuzione, come quello alimentare e dell’ospitalità. i posti vacanti sono su livelli record dalla seconda metà del 2021, con una stabilizzazione che si è registrata nel primo trimestre del 2022.
Il mercato del lavoro in Italia
L’Ocse sottolinea che l’impatto della pandemia sul mercato del lavoro in Italia è stato attutito dal ricorso alla cassa integrazione: il picco del tasso di disoccupazione, nonostante un netto calo delle ore lavorate, è stato solo di mezzo punto percentuale rispetto al record negativo del dicembre 2019.
Il mercato del lavoro ha poi visto un miglioramento nei primi mesi del 2022, con il tasso di disoccupazione sceso a luglio di quest’anno al 7,9%, anche se sempre superiore alla media Ocse (al 4,9%). L’aumento occupazionale rispetto al 2019 ha riguardato sia gli uomini che le donne.
Resta il problema dei posti vacanti, con tassi record registrati nella seconda metà del 2021, per poi fermarsi intorno all’1,9% nel primo trimestre del 2022. Picchi ancora più alti, intorno al 3%, si sono registrati nel settore alimentare e dell’ospitalità. Resta però una crescita bassa del salario nominale: ci si attende un calo del salario reale del 3,1% nel 2022, contro una media Ocse del 2,3%.
Il giudizio dell’Ocse sull’Italia
Il direttore per l’Occupazione, il Lavoro e gli Affari Sociali dell’Ocse, Stefano Scarpetta, intervistato dall’Ansa spiega che considerando le sfide che aspettano l’Italia “non solo c’è bisogno di stabilità, ma di un governo che possa ripartire da dove il governo Draghi finirà il suo lavoro”. Anche sul Pnrr, da cui ripartire.
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