Si sta vanificando, a causa dell’aumento dei costi dell’energia, il sacrificio sociale compiuto dopo la crisi dell’euro, nel biennio 2011-2012, con l’abbattimento della domanda interna e dei salari.
L’orchestrina europea continua a suonare, mentre la nave affonda: il ritorno al Patto di Stabilità e gli obiettivi ambiziosissimi della Next Generation-Ue con la duplice transizione in campo ambientale ed informatico nascondono un tracollo strutturale del settore industriale.
Una crescita economica irrisoria, nell’ordine dell’1% annuo, a fronte di deficit pubblici che veleggiano oltre il 5% nonostante la pandemia sia terminata già da due anni, dovrebbe far accapponare la pelle. Ed invece ci si culla, in Italia, con la ripresa delle ristrutturazioni edilizie che è stata drogata dal superbonus del 110% e con il turismo che tira: è solo fumo negli occhi, chiusi per non vedere la realtà drammatica.
La storia si ripete, esattamente come cinquant’anni fa, quando a causa della crisi energetica determinata dalla guerra del Kippur, l’Italia vide polverizzarsi la propria competitività industriale. Non solo: i maggiori costi del petrolio resero non più sostenibili i grandi progetti di investimento nelle industrie di base, petrolchimica e siderurgia, che si stavano appena sviluppando con il sostegno dello Stato, e che avrebbero dovuto finalmente ribaltare un processo di sviluppo che vedeva la manodopera meridionale emigrare al Nord che si arricchiva. [...]
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