Spetta l’assegno sociale al genitore che ha donato tutto ai figli? Sì secondo la Corte di Cassazione, aprendo così a un escamotage per beneficiare della prestazione in oggetto.
Donare tutto ai figli così da godere dell’assegno sociale: potrebbe sembrare un comportamento fraudolento, in quanto un modo chiaro per aggirare quanto previsto dalla normativa, invece è del tutto lecito.
Ad affermarlo è la Corte di Cassazione, sezione lavoro, con la sentenza n. 7235 del 2023: protagonista un padre in situazione di bisogno dopo aver donato i due immobili di proprietà alla figlia, il quale in prima istanza si è visto rigettare la domanda di assegno sociale.
Secondo l’Inps, ma anche per la corte territoriale che ne ha valutato il ricorso, infatti, donando alla figlia i due immobili di proprietà il padre si è creato da solo la situazione di bisogno: quindi, dal momento che la condizione d’impossidenza è da considerarsi come frutto di una scelta volontaria, non può essere l’Inps a farsi carico di un sostegno riconoscendogli l’accesso all’assegno sociale. Insomma, un principio che sembra rimandare al diritto alla Naspi, laddove appunto la disoccupazione spetta solamente quando la situazione di bisogno non dipenda da una perdita volontaria del lavoro.
Tuttavia, mentre nella Naspi tale condizione è scritta nera su bianco, nel provvedimento che disciplina l’assegno sociale no: per questo motivo, ricorrendo all’ultimo grado di giudizio, il ricorrente ha avuto la meglio con tanto di riconoscimento dell’assegno sociale (compresi gli arretrati).
Assegno sociale e redditi: quando c’è la situazione di bisogno?
L’assegno sociale spetta a due condizioni:
- aver compiuto i 67 anni di età;
- trovarsi in una situazione di bisogno.
Soffermiamoci su quest’ultimo requisito: la situazione di bisogno risulta soddisfatta quando il reddito personale del richiedente non supera il valore annuo dell’assegno sociale e, se sposato, il reddito coniugale è inferiore a due volte lo stesso importo.
Quindi, considerando l’assegno sociale 2023, la situazione di bisogno risulta a patto di avere un reddito individuale inferiore a 6.542,51 euro annui, mentre il reddito coniugale deve stare al di sotto dei 13.085,02 euro. Inoltre, per averne diritto per intero il reddito personale deve essere pari a 0, mentre quello coniugale non deve superare i 6.542,51 euro: diversamente ne spetterà solamente una parte, calcolata sottraendo dal limite massimo il valore del reddito percepito.
A tal proposito, è bene chiarire quali voci si considerano nei redditi. Nel dettaglio, sono validi i redditi di qualsiasi natura, al netto dell’imposizione fiscale e contributiva, compresi quelli esenti da imposte e quelli soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta o imposta sostitutiva. Sono compresi anche gli assegni alimentari eventualmente riconosciuti dall’ex coniuge, come pure le pensioni di guerra. Ne sono esclusi, invece:
- trattamenti di fine rapporto (ed eventuali anticipi);
- competenze arretrate soggette a tassazione separata;
- il reddito della casa di abitazione;
- indennità di accompagnamento;
- assegni per l’assistenza personale continuativa erogati dall’Inail (per invalidità permanente assoluta)
- gli assegni per l’assistenza personale e continuativa pagata ai pensionati per inabilità;
- trattamenti di famiglia comunque denominati.
Esclusi quelli del suddetto elenco, quindi, altri redditi potrebbero precludere l’accesso all’assegno sociale. A tal proposito, ad esempio per chi possiede più di un’abitazione, la soluzione potrebbe essere quella di donare tutto ai figli, così da rientrare nella condizione di bisogno che dà accesso alla prestazione. Una soluzione che potrebbe sembrare di comodo ma che, secondo la Corte di Cassazione, è del tutto legittima.
Donare tutto per avere diritto all’assegno sociale, perché è legittimo
Come anticipato, con la sentenza n. 7235 del 2023 la Corte di Cassazione ha valutato il ricorso di un padre a cui la richiesta di assegno sociale è stata respinta perché ritenuto colpevole di essersi creato da solo la situazione di bisogno in quanto ha donato i due immobili di cui era titolare alla figlia, mantenendo su uno di questi il diritto di abitazione.
Come ricorda la suprema Corte, infatti, il diritto all’assegno sociale, come disciplinato dall’articolo 3, comma 6, della legge n. 335 del 1995, prevede come unico requisito lo stato di effettivo bisogno del titolare, il quale si desume dalla condizione oggettiva dell’assenza di redditi o dall’insufficienza di quelli percepiti. Non ha alcuna rilevanza - come tra l’altro era già stato sostenuto dalla Corte con la sentenza n. 24954 del 2021 - la motivazione da cui dipende lo stato di bisogno.
Quindi, anche se è colpa dell’interessato, il quale ha volutamente donato tutte le sue proprietà così da non avere problemi nel soddisfare i requisiti richiesti, l’assegno sociale va comunque pagato.
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