Approvato in Senato il ddl Calderoli sull’autonomia regionale differenziata. Ecco di cosa si tratta, come funziona e perché viene criticata dalle opposizioni.
Oggi il Senato ha approvato con 110 voti favorevoli (64 contrari e 30 astenuti) il decreto legge del ministro Calderoli sull’autonomia differenziata regionale, in attuazione della riforma del Titolo V della Costituzione avviata nel 2001. Il testo passerà alla Camera per l’approvazione definitiva, anche se le opposizioni preannunciano già il referendum abrogativo.
Che l’autonomia regionale differenziata sia un argomento divisivo, tanto politicamente quanto negli effetti, non è certo cosa nuova. Conferire potere e libertà alle Regioni permette di avere scelte più mirate alle necessità dei cittadini e rapide, considerando le ridotte dimensioni da gestire, ma rischia anche di aumentare le disparità già esistenti, contribuendo a vere e proprie spaccature nella nazione.
Per limitare questa evenienza, il Governo ha pensato all’introduzione dei Livelli essenziali di prestazione (Lep) al fine di tutelare le necessità dei cittadini ma sui quali non sono ancora stati fissati i finanziamenti e che peraltro rischiano di tradursi in prestazioni disomogenee.
Cos’è l’autonomia differenziata e cosa cambia
L’autonomia differenziata riconosce alle Regioni a statuto ordinario l’autonomia legislativa sulle materie di competenza concorrente e su 3 materie di competenza statale. In particolare, le materie di esclusiva competenza statale che potranno invece trasferirsi sulle Regioni sono:
- organizzazione della giustizia di pace;
- norme generali sull’istruzione;
- tutela dell’ambiente dell’ecosistema e dei beni culturali.
Ci sono poi 20 materie di cui era già riconosciuta la potestà legislativa alle Regioni, ma era lo Stato a occuparsi della legislazione dei principi fondamentali, tra le quali:
- rapporti internazionali e con l’Unione europea delle Regioni;
- tutela e sicurezza del lavoro;
- ricerca scientifica e tecnologica e sostegno all’innovazione per i settori produttivi;
- protezione civile;
- governo del territorio;
- porti e aeroporti civili;
- grandi reti di trasporto e di navigazione;
- ordinamento della comunicazione;
- produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia; previdenza complementare e integrativa.
Le Regioni potranno così decidere autonomamente in questi ambiti, su propria richiesta, rappresentando così un vero e proprio decentramento dello Stato. Si evince chiaramente che le materie delle quali le Regioni potranno vantare piena autonomia sono tutt’altro che secondarie, dato che comprendono anche pilastri come la Sanità e l’Istruzione.
Il rischio è che così venga marcata ulteriormente la disparità territoriale dovute alle differenze economiche, nonostante i Lep. D’altro canto, il decentramento permetterebbe una gestione molto più rapida, con la possibilità di agire in modo più specifico sulle questioni rilevanti per i cittadini. In ogni caso, con l’autonomia le Regioni acquisiscono nuove funzioni, insieme alla gestione delle relative risorse umane, strumentali e finanziarie. Nel concreto, ci si aspetta un cambiamento non indifferente, soprattutto tenendo conto delle dinamiche politiche che orienteranno le decisioni e le nuove regole.
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I Lep, livelli essenziali di prestazione che potrebbero non bastare
L’attribuzione dell’autonomia differenziata è subordinata alla fissazione dei Lep, i livelli essenziali di prestazione che devono essere garantiti a tutti i cittadini e riguardanti i diritti civili e sociali. L’obiettivo è garantire a tutte le Regioni, indipendentemente dall’istanza di autonomia, pari risorse.
Il meccanismo appare perfettamente funzionale, non fosse che è difficile sperare che lo Stato possa far fronte alle disuguaglianze e trovare i fondi necessari per attuare i Lep. Non c’è nessuna garanzia in merito, anche perché il ddl Calderoli contiene quella che è a tutti gli effetti una clausola di invarianza di spesa: il trasferimento di competenze e risorse può avvenire soltanto nel rispetto degli obiettivi di finanza pubblica e nei limiti della legge di bilancio.
L’autonomia regionale, peraltro, riduce il controllo dello Stato e pone un ostacolo legislativo non indifferente. Se l’autonomia si traduce anche nella possibilità di legiferare nel settore si crea un inevitabile conflitto con le leggi nazionali, compromettendo l’intero sistema gerarchico dell’ordinamento.
C’è però anche da considerare che il passaggio non è immediato, dall’istanza della Regione serviranno almeno 5 mesi per ottenere il responso delle Camere. L’intesa sull’autonomia, peraltro, può avere durata variabile fino a 10 anni ma può essere revocata dallo Stato con preavviso minimo di 12 mesi.
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