Il grande dilemma delle banche centrali riguarda l’inflazione: sarà davvero transitoria o i prezzi, con l’energia in testa, sono destinati ormai a salire nel tempo?
Banche centrali sempre più pressate e in una posizione precaria in questa caotica ripresa economica post-pandemica.
I consumatori statunitensi e britannici, per esempio, si trovano nel pieno di un aumento dei prezzi e prospettano cupi scenari. Se, però, i funzionari delle banche centrali decidessero di intervenire alzando i tassi di interesse, potrebbero rallentare la ripresa in un momento dove il sostegno è ancora fondamentale per uscire dalla crisi.
Il dilemma non è facile per le banche centrali: cosa fare con l’inflazione in continuo incremento?
Banche centrali al bivio: fermare l’inflazione o no?
La crisi dell’offerta a livello globale sta spingendo l’inflazione a un ritmo così veloce che i banchieri centrali potrebbero essere costretti a rispondere, anche se correggere questo squilibrio non è poi così semplice e dai risultati certi.
Il dilemma è proprio sulla natura dell’inflazione: quanto dipende da una ripresa della domanda e quanto dalle tensioni di offerta causate da porti intasati e dalla carenza di materiali e lavoratori?
Il punto, secondo l’analisi proposta da Bloomberg, è che lo strumento a disposizione del rialzo dei tassi di interesse potrebbe temperare la domanda, ma ben poco farebbe per superare i colli di bottiglia dell’offerta.
Inoltre, se la situazione delle carenze di beni e materie prime si attenuasse nel breve-medio periodo con il ritorno alla normalità del commercio, la scelta di alzare i costi di finanziamento potrebbe risultare troppo restrittiva e rallentare la ripresa.
Non solo, se le banche centrali si trattengono dall’intervenire e la stretta dell’offerta persiste, ciò potrebbe consolidare le aspettative di una maggiore inflazione, spingendo i consumatori e le aziende a far salire salari e prezzi. In tale scenario, le banche centrali potrebbero in seguito essere costrette a misure restrittive più forti.
Insomma, Lagarde, Powell e Bailey - solo per citare i presidenti delle banche centrali più monitorate - si trovano dinanzi a un bel problema.
BCE, Federal Reserve, BoE: quale strategia?
I prossimi vertici delle banche centrali saranno osservati con estrema attenzione: quale sarà l’approccio all’inflazione?
Nel Regno Unito, dove i prezzi sono in corsa per verso il raddoppio dell’obiettivo della Banca d’Inghilterra quest’anno, il governatore Andrew Bailey ha avvertito si dovrà agire.
Gli analisti scommettono che BoE aumenterà il suo tasso di riferimento allo 0,5% entro la fine di quest’anno. Ciò la collocherebbe al fianco di Norvegia e Nuova Zelanda tra il piccolo numero di banche centrali dell’economia sviluppata ad aver aumentato i costi di finanziamento durante la pandemia.
La Fed è pronta a dare il via libera il mese prossimo alla riduzione del suo programma di acquisto di asset secondo il sentiment. Jerome Powell ha cercato di scollegare questa mossa da qualsiasi rialzo dei tassi di interesse, ribadendo la transitorietà dell’aumento dei prezzi.
La BCE sembra intenzionata a continuare a sostenere la ripresa. Francoforte ha alzato i tassi nel 2008 e nel 2011 prima di dover voltare pagina a causa del rallentamento dell’economia. Christine Lagarde ha dichiarato che è improbabile che l’attuale picco dell’inflazione duri.
Da sottolineare che il anche governatore della People’s Bank of China, Yi Gang, ha dichiarato che l’inflazione dei prezzi alla produzione, che ha raggiunto il massimo di un quarto di secolo il mese scorso, inizierà a calare alla fine del 2021.
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