Come avere 300 euro in più quando si guadagnano all’incirca 15.000 euro? Ecco quali sono le misure a supporto del lavoratore dipendente.
Lo Stato italiano, nel pieno rispetto dei principi dettati dal welfare state, interviene a sostegno dei redditi più bassi riconoscendo, ad esempio, dei bonus in busta paga per chi guadagna poco.
D’altronde, oggi basta guadagnare meno di 1.245 euro netti al mese per essere a rischio povertà.
Ne è un esempio il fatto che per chi guadagna fino a 8.500 euro non sono dovute le imposte sullo stipendio (mentre i contributi si versano), mentre nei casi in cui lo stipendio supera questa soglia, ma non di molto, intervengono altre misure a supporto del lavoratore.
Ad esempio, per chi guadagna intorno ai 15.000 euro lordi di stipendio annuo, quindi circa 1.150 euro lordi mensili, si possono contare 300 euro di bonus al mese, con questa cifra che in alcuni casi può essere anche maggiore (come nel caso delle lavoratrici che hanno figli a carico).
Misure che, è importante sottolineare, generalmente rappresentano un obbligo per il datore di lavoro che quindi non può esimersi dal riconoscerle. Va detto però che in alcuni casi serve che a farne esplicita domanda sia il dipendente.
Ecco perché è importante avere consapevolezza delle voci che compongono il proprio stipendio, così da poter eventualmente capire se ci sono alcune agevolazioni che spettano ma che non vengono riconosciute perché non ne è stata inoltrata richiesta.
Pertanto, ecco una guida con cui faremo chiarezza sul perché si parla di bonus 300 euro per chi ha uno stipendio all’incirca di 15.000 euro l’anno. Per maggiori informazioni, invece, potete consultare il corso di Money.it con tutte le istruzioni per assicurarsi una carriera vincente.
100 euro in più con il trattamento integrativo
In passato conosciuto come bonus Renzi, oggi il trattamento integrativo disciplinato ai sensi della legge n. 234/2021, ha un importo di 100 euro al mese per 12 mensilità (tredicesima esclusa quindi).
Ad averne diritto sono coloro che hanno un reddito compreso tra 8.174 euro (anche se oggi il limite per la no tax area è stato portato a 8.500 euro) e 15.000 euro l’anno.
Sopra questa soglia il trattamento integrativo non viene riconosciuto in busta paga, ma potrebbe spettare in misura parziale in dichiarazione dei redditi (con importo pari alla differenza che c’è tra le altre detrazioni fiscali e l’Irpef lorda dovuta).
Tuttavia, non è detto che se avete uno stipendio annuo compreso tra 8.174 e 15.000 euro avete automaticamente il bonus 100 euro applicato in busta paga. Solitamente, infatti, i datori di lavoro fanno decidere al dipendente, così che possa valutare se gli conviene o meno. D’altronde potrebbe succedere che questo percepisca altri redditi nel corso dell’anno che comportano il superamento della suddetta soglia e la conseguente restituzione del bonus percepito.
Per non rischiare, quindi, già al momento dell’assunzione - attraverso il modulo per le dichiarazioni di imposta - si chiede al dipendente di specificare se vuole che il trattamento integrativo venga o meno applicato in busta paga.
In caso contrario vi è sempre la possibilità di recuperarlo in un secondo momento, in sede di dichiarazione dei redditi.
60 euro con lo sgravio contributivo
Un bonus che invece è applicato in automatico è quello riconosciuto grazie allo sgravio contributivo introdotto dal governo Meloni che per coloro che guadagnano fino a 25 mila euro l’anno abbatte del 7% la quota di contributi a carico del lavoratore.
Il che significa che su uno stipendio di 15 mila euro l’anno si pagano 80,76 euro di contributi in meno ogni mese (per 12 mensilità), quindi 970 euro risparmiati ogni anno.
L’importo netto è di circa 60 euro in più ogni mese, cifra che tuttavia potrebbe persino aumentare. Nel 2024, infatti, è riconosciuto un esonero contributivo totale alle mamme con almeno 2 figli (di cui uno di età inferiore ai 10 anni, 18 anni nel caso di chi ha almeno 3 figli) che abbatte completamente la quota di contributi dovuta.
Nel caso delle lavoratrici che soddisfano queste condizioni, quindi, c’è un risparmio di ulteriori 23 euro al mese, circa 12 euro netti in più.
Tuttavia, mentre lo sgravio contributivo si applica in automatico, per il bonus mamme deve essere la lavoratrice a comunicare al datore di lavoro di volerne percepire con tanto di autodichiarazione in cui attesta di soddisfarne i requisiti, oltre a indicare il codice fiscale dei figli.
Circa 57 euro con le detrazioni per coniuge a carico
Sempre al momento dell’assunzione il lavoratore deve comunicare all’azienda se intende fruire in busta paga delle detrazioni per coniuge a carico, per le quali con uno stipendio di 15.000 euro lordi spettano 690 euro complessivi, esattamente 57,50 euro al mese.
A tal proposito, ricordiamo che il coniuge è a carico quando ha un reddito non superiore a 2.840,51 euro e che laddove la detrazione non sia stata goduta in busta paga (per scoprirlo basta consultare l’ultima Certificazione unica) è possibile recuperarla dalla dichiarazione dei redditi.
E va considerato che ci sono anche le altre detrazioni per familiari a carico, come ad esempio quelle per figli di età superiore ai 21 anni con la quale vengono riconosciuti 950 euro l’anno, circa 80 euro al mese.
Circa 83 euro con i fringe benefit
Concludiamo con l’unico bonus che il datore di lavoro non è obbligato a riconoscere: si tratta dei fringe benefit, ossia beni e servizi di welfare che in alcune aziende vengono utilizzati per favorire il benessere del dipendente senza dover necessariamente ricorrere a un più oneroso aumento di stipendio.
Nel 2024, infatti, i fringe benefit sono esentasse fino a 1.000 euro l’anno, quindi circa 83 euro al mese, e ci sono diversi modi per riconoscerli: ad esempio, sotto forma di un vero e proprio rimborso spese tanto per le bollette di luce, gas e acqua, quanto per le spese di affitto e mutuo (ma solo per gli interessi pagati).
E per coloro che hanno almeno un figlio a carico - con codice fiscale consegnato all’azienda attraverso un apposito modulo di autocertificazione - i fringe benefit sono esentasse fino a 2.000 euro l’anno.
E non ci sono limiti di reddito: ne ha diritto, quindi, anche il lavoratore con stipendio di 15 mila euro può averne diritto (sempre che l’azienda ritenga opportuno pagarlo).
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