Il cambio residenza va comunicato al datore di lavoro?

Simone Micocci

6 Agosto 2024 - 11:59

Il lavoratore che si trasferisce deve comunicare il cambio di residenza al datore di lavoro? Vi spieghiamo perché è importante farlo.

Il cambio residenza va comunicato al datore di lavoro?

Il lavoratore che cambia casa, e quindi ha un nuovo indirizzo, deve comunicare il cambio residenza al datore di lavoro. Un obbligo che scatta per diverse motivazioni che rendono fondamentale il fatto che l’azienda sia in possesso dei dati anagrafici aggiornati di ogni lavoratore.

A tal proposito, a rispondere sull’obbligo del lavoratore di comunicare il nuovo indirizzo di abitazione al datore di lavoro è stata la Corte di Cassazione con diverse sentenze che hanno fatto chiarezza su una tale necessità.

Vediamo quindi perché è importante conoscere l’indirizzo di residenza nel rapporto tra lavoratore e dipendente e per quale motivo va prontamente comunicato un eventuale cambio.

Perché è importante la residenza nei rapporti di lavoro

Come prima cosa è importante sottolineare che l’indirizzo di residenza del lavoratore dipendente è un dato necessario ai fini della stipula del contratto di lavoro. Tra i dati da inserire, infatti, ci sono tanto quelli aziendali (dalla ragione sociale alla Partita Iva, fino all’indirizzo della sede legale) quanto quelli riferiti al lavoratore (come data di nascita, Codice fiscale e residenza appunto).

Questi dati non sono lì per caso: ogni informazione indicata nel contratto, infatti, è essenziale per darne esecuzione. Ma per quale motivo la residenza del lavoratore è così importante? Lo può essere in virtù di diversi passaggi, come ad esempio:

  • per inviare comunicazioni al dipendente laddove non sia possibile farlo direttamente. Ad esempio, eventuali lettere di richiamo, che se non consegnate a mano devono essere inviate per mezzo di raccomandata con ricevuta di ritorno, come pure eventualmente per mezzo di posta elettronica certificata (ma non è obbligatorio che il lavoratore ne disponga);
  • per avere un’indicazione su dove effettuare un controllo medico negli orari delle visite fiscali in caso di malattia, per quanto comunque il lavoratore possa indicare - nel certificato medico - un indirizzo differente da quello di residenza.

Senza dimenticare poi che le addizionali regionali e comunali, che vengono trattenute in busta paga dal datore di lavoro in qualità di sostituto d’imposta, dipendono dall’indirizzo di residenza del dipendente e non dall’indirizzo legale dell’azienda. Dalla nuova residenza, quindi, dipende anche la misura di una parte delle imposte dovute sulla busta paga, fermo restando che eventuali differenze possono essere saldate - o recuperate - in sede di dichiarazione dei redditi.

Va ricordato comunque che laddove il cambio di residenza dovesse avvenire nel corso dell’anno, l’addizionale Irpef comunale, ed eventualmente anche regionale, verrebbe aggiornata solo dall’1 gennaio successivo.

Cosa succede se non si comunica il cambio di residenza al datore di lavoro

Alla luce di quanto detto sopra, è sempre consigliato comunicare all’azienda se si cambia residenza.

Ma in alcuni casi, ossia laddove espressamente previsto dal Contratto collettivo applicato, è anche obbligatorio. In tal caso, non comunicare il nuovo indirizzo comporta una serie di conseguenze, quali:

  • come stabilito dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 22295/2017, ogni volta che il lavoratore non comunica il certificato di residenza al datore di lavoro, tutte le comunicazioni spedite al vecchio indirizzo hanno comunque valore legale;
  • inoltre, sempre la Cassazione, con la sentenza n. 15891/2018 spiega che dal momento che le comunicazioni inviate al vecchio indirizzo si considerano comunque ricevute, decorrono anche i termini per poter eventualmente impugnare le decisioni del datore di lavoro. Pensiamo ad esempio alla notifica del licenziamento, per la quale c’è tempo 60 giorni per darne impugnazione.

C’è poi un ulteriore fattore, ossia che chi non adempie all’obbligo contrattuale di comunicare il nuovo indirizzo può essere soggetto a sanzione disciplinare da parte del datore di lavoro, la quale ovviamente deve essere commisurata alla gravità del fatto. Difficile quindi che possa esserci il licenziamento, ma non è da escludere un rimprovero scritto o persino una multa.

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