Quali sono i criteri del licenziamento che deve adottare l’azienda in crisi? Ecco chi deve essere licenziato per primo secondo la legge.
L’azienda in crisi ha necessità di ridurre il personale e la manodopera e può farlo in maniera del tutto legittima attraverso il licenziamento. La scelta dei dipendenti da licenziare, tuttavia, non del tutto libera e non può in ogni caso essere fondata su discriminazioni personali nei confronti dei lavoratori. Questi ultimi hanno infatti la possibilità di impugnare il licenziamento illegittimo, considerato tale non solo quando mancano i presupposti di legge, ma anche quando pur essendo presenti non è stata applicata la corretta procedura di selezione. Per sapere se è questo il caso bisogna capire chi deve essere licenziato per primo in caso di crisi aziendale. Sul punto, è necessario poi distinguere fra il licenziamento collettivo, che gode di una specifica normativa di regolazione, e quello individuale.
Licenziamento collettivo per crisi d’azienda, chi deve essere licenziato per primo
Il licenziamento collettivo si ha con il licenziamento di almeno 5 dipendenti nell’arco di 120 giorni ed è pertanto facilmente il risultato della riduzione di personale adottata dall’azienda in crisi. I licenziamenti collettivi sono regolati in maniera piuttosto specifica dalla legge, che impone al datore di lavoro la previa trattativa con i sindacati.
Questo passaggio è fondamentale per verificare le condizioni del licenziamento e le sue motivazioni, oltre a controllare i criteri di scelta adottati per la selezione del personale da licenziare. Come anticipato, i criteri non sono del tutto arbitrari; infatti, la legge impone la considerazione di:
- Anzianità di servizio;
- carichi di famiglia;
- esigenze produttive e organizzazione aziendale.
Questo significa che l’azienda in crisi deve licenziare per primo il lavoratore che a parità di rendimento è più giovane e non ha familiari a carico. Al contrario, i lavoratori con più anni di servizio con carichi familiari potranno subire il licenziamento soltanto in extremis. Il licenziamento collettivo non è comunque l’unica soluzione per fronteggiare la crisi aziendale; infatti, si può ottenere una soddisfacente riduzione della manodopera anche con i licenziamenti individuali.
Chi deve essere licenziato per primo dall’azienda in crisi
Quando il licenziamento viene intimato singolarmente ai lavoratori, o comunque a meno di 5 dipendenti nell’arco di 120 giorni, si parla di licenziamento individuale. In particolare, il licenziamento dovuto alla crisi dell’azienda attiene all’ambito del licenziamento per giustificato motivo oggettivo.
Di conseguenza, il licenziamento dovuto alle ragioni aziendali non ha carattere personale, nonostante sia individuale. Per capire meglio questa differenza è sufficiente fare un confronto con i licenziamenti di disciplinari, per natura stessa rivolti a un dipendente in modo specifico. Ovviamente ciò non accade quando il licenziamento è dovuto da ragioni esterne rispetto ai lavoratori, quando cioè c’è la necessità di una riduzione generale del personale.
Anche se il ridimensionamento è limitato a un determinato reparto o comparto produttivo, infatti, non si esprime mai nell’esigenza di licenziare un dipendente piuttosto che un altro. Ai fini aziendali quello che conta è la riduzione del personale, che tuttavia non è regolata espressamente dalla legge.
Per questa ragione si tende spesso a credere che la scelta dei lavoratori sia in questo caso a completa discrezione del datore di lavoro, non è poi nemmeno raro che le aziende utilizzino questo metodo proprio per ovviare ai criteri di scelta imposti altrimenti dalla legge. La Corte di cassazione ha però ribaltato questa convinzione, confermando l’estensione della normativa anche ai licenziamenti individuali.
Questo vuol dire essenzialmente che anche se il licenziamento per ragioni di crisi aziendale avviene in modo individuale il datore di lavoro deve tenere conto dei classici criteri di scelta, privilegiando il lavoratore con maggiore anzianità di servizio e carichi di famiglia. Non rispettare questi criteri comporta l’illegittimità del licenziamento, che può quindi essere impugnato dal lavoratore per un risarcimento.
Si ricorda comunque che la legge impone alle parti del contratto di lavoro l’applicazione dei principi di correttezza e buona fede, che vengono evidentemente violati dal datore che opera il licenziamento su preferenze personali. Il presupposto di questa regolamentazione è proprio il motivo del licenziamento, ai fini del quale ogni lavoratore è uguale all’altro anche in riferimento alle mansioni svolte. Ci sarebbe poi da tenere a mente che l’azienda è comunque tenuta a rispettare l’obbligo di ripescaggio, offrendo al lavoratore in esubero un altro settore di impiego a parità di inquadramento e retribuzione.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Argomenti