Come deve firmare la moglie dopo il matrimonio? Con il suo cognome o con quello del marito? Vediamo cosa dice la legge al riguardo.
Come firma la donna dopo il matrimonio? Porsi questa domanda è lecito, poiché dopo il matrimonio, la moglie aggiunge il cognome del marito al proprio, e a dirlo è il Codice civile. Dunque, come deve firmare?
In realtà si tratta di un retaggio storico e tradizionale, proveniente da una società di stampo maschilista e patriarcale, e che oggi ha in gran parte perso di significato.
La moglie non può rinunciare all’acquisizione del cognome del marito perché è un effetto automatico del matrimonio e lo perde solo dopo la sentenza di divorzio oppure se convola a nuove nozze dopo la morte del congiunto.
Precisiamo che si tratta per lo più di un tradizione perché sul piano amministrativo non ha alcuna rilevanza: il cognome del marito non viene riportato sulla carta d’identità, la patente o il passaporto, né sugli atti e documenti amministrativi. Dunque la moglie deve continuare a firmare con il proprio cognome tutti i documenti ufficiali.
Vediamo nel dettaglio come funziona la disciplina del cognome nel nostro ordinamento.
Il cognome dei coniugi secondo la legge
La disciplina sull’acquisizione del cognome del marito dopo il matrimonio è contenuta nell’articolo 143 bis del Codice Civile che dice espressamente:
La moglie aggiunge al proprio cognome quello del marito e lo conserva durante lo stato vedovile, fino a che passi a nuove nozze.
Tuttavia il Consiglio di Stato con il parere n. 1746 del 1997 ha precisato che:
Ai fini dell’identificazione della persona vale esclusivamente il cognome da nubile.
Ciò vuol dire che da un punto di vista strettamente legale la moglie mantiene sempre la sua identità - cioè quella registrata all’anagrafe - infatti sui documenti sono riportati i dati corrispondenti all’atto di nascita e non quelli relativi al matrimonio. Al massimo la moglie può far aggiungere al documento d’identità la dicitura “coniugata”, ma è facoltativo.
Dunque per la legge italiana la donna sposata assume il cognome del marito e lo aggiunge al proprio solo nei rapporti sociali, ne consegue che in ogni atto, registrazione e documentazione amministrativa la moglie deve firmare con con il cognome da nubile, a pena di nullità.
Cosa succede in caso di separazione o divorzio?
La legge italiana prevede che in caso di separazione il vincolo coniugale non perde i suoi effetti e quindi la moglie conserva il cognome del marito.
Tuttavia ci può essere un’eccezione: il giudice può vietare alla moglie l’uso del cognome del marito quando ne deriva un pregiudizio per il marito, e allo stesso modo può autorizzare la moglie a non utilizzarlo qualora dall’uso possa derivare un grave pregiudizio.
Le cose cambiano quando viene in essere una sentenza di divorzio: in questo caso cessano gli effetti civili del matrimonio e la legge prevede espressamente che la moglie perde il cognome del marito.
Anche qui si ammette un’eccezione: la moglie può chiedere al giudice di continuare ad utilizzare il cognome dell’ex marito se esiste un interesse suo o della prole valutato dal giudice come meritevole di tutela.
Al di fuori di questo caso se la moglie continua ad utilizzare il cognome dell’ex marito questo può agire in giudizio e chiedere addirittura il risarcimento danni. Per farlo il marito deve dimostrare di aver subito un pregiudizio effettivo, anche solo morale, o la violazione della privacy in quanto dall’utilizzo del cognome è possibile risalire all’identità dell’ex marito.
La scelta del cognome nelle unioni civili
Per quanto riguarda le unioni civili, le regole sull’aggiunta del cognome sono diverse rispetto a quelle sopra riportate.
La legge Cirinnà del 2016 sulle unioni civili ha un assetto più moderno e più vicino alla normativa europea riguardo al cognome: alle unioni civili, infatti, non si applica l’articolo 143-bis del Codice Civile sull’acquisizione automatica del cognome del marito ma, al contrario, le parti - sia dello stesso sesso che non - possono scegliere liberamente quale cognome assumere o se mantenerli entrambi, nell’ordine che preferiscono.
In ogni caso si tratta di una scelta di ordine sociale e non amministrativo: ai fini dell’identificazione personale e della stipulazione di atti con effetti civili le parti devono sempre firmare con il cognome registrato all’anagrafe.
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