Come fare causa: a chi rivolgersi, modalità e costi

Marco Montanari

15/03/2022

Per tutelare i nostri diritti a volte è necessario avviare una causa: ecco come fare, a chi rivolgersi, modalità e possibili costi.

Come fare causa: a chi rivolgersi, modalità e costi

A chiunque può capitare di subire un torto e di vedersi leso in un proprio diritto.

Può succedere, ad esempio, di essere licenziati in modo ingiusto, di non essere pagati per un lavoro eseguito o di ritrovarsi bersaglio di richieste economiche prive di fondamento.

In questi casi, la prima arma a disposizione è la diplomazia: invitare la controparte all’uso del semplice buon senso potrebbe, a volte, essere la chiave di risoluzione del conflitto.

Purtroppo, tuttavia, non tutte le persone sono disposte a raggiungere una soluzione amichevole.

Come fare allora?

L’ordinamento consente sempre a chi vuol far valere un suo diritto la possibilità di rivolgersi al sistema giudiziario.

Ciò è riconosciuto, in primo luogo, dalla nostra Costituzione, la quale afferma che:

Tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi.
La difesa è diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento.
Sono assicurati ai non abbienti, con appositi istituti, i mezzi per agire e difendersi davanti ad ogni giurisdizione.
La legge determina le condizioni e i modi per la riparazione degli errori giudiziari.
” (art. 24, Cost.)

In altre parole, a chiunque è consentita la possibilità di agire in giudizio per rivendicare le proprie ragioni.

Vediamo meglio, nel seguente articolo, a chi rivolgersi, le modalità e i possibili costi per intentare una causa.

A chi rivolgersi?

Dal momento in cui decidiamo di fare causa a qualcuno è bene, per prima cosa, rivolgersi a un professionista del settore e, dunque, a un avvocato.

La sua assistenza tecnica è quasi sempre obbligatoria quando intendiamo ricorrere a un giudice; inoltre, come professionista, egli possiede gli strumenti utili a consigliare il cliente sulle possibili soluzioni al problema lamentato.

Un altro importante ruolo dell’avvocato è quello di informare il cliente circa la concreta possibilità di riuscita di un’eventuale azione in giudizio nonché di esprimere un parere veritiero su quanto la sua pretesa sia, o meno, fondata.

Quindi, quando si ritiene di aver subito un torto occorre, innanzitutto, rivolgersi a un legale chiedendo una sua consulenza.

Se, in base alle informazioni ottenute, decidiamo di intraprendere la strada del contenzioso legale, sarà necessario conferire al professionista un apposito mandato, attraverso il quale egli assumerà, innanzitutto, il potere di rappresentare e difendere i nostri interessi nei rapporti con la controparte.

In altre parole, ciò che faremo sarà stipulare un contratto (di mandato, appunto) con il professionista prescelto. Ma di cosa si tratta esattamente?

Secondo l’art. 1703 del Codice civile, per mandato si intende “il contratto col quale una parte si obbliga a compiere uno o più atti giuridici per conto dell’altra”.

Esso è normalmente a titolo oneroso (art. 1709, c.c.); ciò significa che, a fronte dell’attività svolta per conto del cliente, l’avvocato ha diritto a ricevere un compenso, a meno che non sia provata l’esistenza di un differente accordo tra le parti.

Inoltre, il contratto di mandato non deve necessariamente avere forma scritta.

Al riguardo, è utile distinguere tra mandato stragiudiziale e mandato giudiziale.

Il primo ha ad oggetto le attività esterne al giudizio, ovvero le attività che non comportano l’avvio di un contenzioso davanti a un giudice.

Si pensi, ad esempio, alla fase delle trattative con la controparte volte a ricercare una soluzione conciliativa della lite.

Questo mandato non deve necessariamente rivestire la forma scritta, ben potendo essere conferito all’avvocato soltanto verbalmente, purché ciò emerga chiaramente sia dal comportamento del cliente (e dell’avvocato) sia dalle circostanze di fatto.

Ad esempio, la presenza di una lettera di diffida inviata dall’avvocato alla controparte per conto del cliente può essere interpretata quale chiaro segno dell’esistenza di un contratto di mandato.

Diversamente, il mandato giudiziale, detto anche procura alle liti o procura processuale, deve essere conferito per iscritto.

La procura alle liti dovrà, infatti, essere depositata in giudizio dall’avvocato per dimostrare di aver ricevuto l’incarico a rappresentare e difendere il cliente nel corso del procedimento.

Dispone, al riguardo, il comma 1 dell’art. 83, c.p.c., che:

Quando la parte sta in giudizio col ministero di un difensore, questi deve essere munito di procura.

In ogni caso, un consiglio utile quando si decide di incaricare un legale di curare la tutela di un nostro diritto, è quello di fornirgli, fin dai primi incontri, ogni documento che possa agevolare l’attività difensiva richiesta (ad esempio, copia della corrispondenza scambiata con la controparte, copia di contratti o altre scritture private, copia del provvedimento che si intende contestare, eventuale documentazione fotografica, ecc.).

Il tentativo di conciliazione

Esistono diverse modalità per fare causa, esse dipendono dal singolo caso da trattare.

In alcuni casi, sarà comunque necessario intraprendere un preliminare tentativo di conciliazione finalizzato a evitare, per quanto possibile, l’avvio di un contenzioso giudiziale.

La legge infatti prevede che, per alcune materie o entro determinati limiti di valore, si debba obbligatoriamente affrontare una fase preventiva di tipo stragiudiziale, in cui le parti sono messe in contatto, assistite dai rispettivi legali, allo scopo di conciliare la controversia.

In particolare, è possibile distinguere tra:

  1. procedimento di mediazione (D. Lgs. n. 28/2010);
  2. procedimento di negoziazione assistita (D.L. n. 132/2014 e succ. mod. e int.).

Il primo tipo di procedimento è previsto obbligatoriamente quando la causa verte sulle materie previste dall’art. 5 del D. Lgs. n. 28/2010; in particolare, si tratta delle cause in materia di:

  • condominio;
  • diritti reali (proprietà, usufrutto, usucapione, ecc.);
  • divisione;
  • successione ereditaria;
  • patti di famiglia;
  • locazione, comodato, affitto di aziende;
  • risarcimento del danno derivante da responsabilità medica e sanitaria, diffamazione a mezzo stampa o con altro mezzo di pubblicità;
  • contratti assicurativi, bancari e finanziari.

Il procedimento di negoziazione assistita è invece considerato obbligatorio in materia di risarcimento del danno da circolazione stradale, contratti di trasporto o di sub-trasporto e in tutte le ipotesi dove si intenda proporre in giudizio una domanda di pagamento non superiore a 50.000 euro (ad eccezione delle cause di lavoro e di quelle sottoposte a mediazione obbligatoria).

Fare causa: quali modalità?

Soltanto dopo il fallimento del tentativo di conciliazione tramite mediazione o negoziazione assistita, oppure in caso di mancata adesione della controparte alla procedura, sarà possibile avviare la vera e propria causa davanti al giudice competente.

A questo punto, il legale si occuperà di predisporre un atto introduttivo che può assumere la veste del ricorso o dell’atto di citazione (art. 163, c.p.c.).

Anche qui, la scelta tra l’una e l’altra tipologia di atto dipenderà dal tipo di procedimento che si vuole intraprendere e dalla materia su cui lo stesso verte.

Per fare un esempio, quando si vuole introdurre una causa di lavoro, l’atto predisposto dall’avvocato avrà la forma del ricorso; diversamente, se si vuole agire per ottenere un risarcimento del danno, in linea di massima, verrà utilizzato un atto di citazione.

La differenza fondamentale tra i due tipi di atto sta nel fatto che, nel caso del ricorso, questo verrà prima depositato presso l’ufficio giudiziario competente e, solo dopo che il giudice avrà fissato l’udienza di comparizione delle parti con decreto, l’atto e il decreto saranno notificati alla controparte a cura dell’avvocato.

Al contrario, l’atto di citazione sarà prima notificato alla controparte (tramite posta raccomandata, pec o ufficiale giudiziario) e, solo in un secondo momento, verrà depositato presso il giudice attraverso l’iscrizione a ruolo del procedimento.

In ogni caso, entrambe le tipologie di atto devono contenere una serie di indicazioni indispensabili, tra cui:

  • l’indicazione dell’ufficio giudiziario presso cui è presentata la domanda;
  • il nome, cognome e le altre generalità delle parti;
  • l’oggetto della domanda;
  • l’esposizione dei fatti e delle ragioni poste a fondamento di quest’ultima;
  • le conclusioni;
  • le prove di cui intende avvalersi chi agisce in giudizio;
  • il nome, cognome, codice fiscale, indirizzo, recapiti e firma dell’avvocato.

Fare causa: i possibili costi

Abbiamo visto, molto brevemente, quali sono i passaggi fondamentali da seguire per avviare una causa.

È inutile negarlo: tutto questo prevede dei costi che possono risultare, spesso, anche molto elevati.

Primo fra tutti è il costo legato alla parcella dell’avvocato per l’attività professionale svolta (o che dovrà svolgere).

Si tratta di un costo variabile che può dipendere da molti fattori.

Ogni avvocato è tendenzialmente libero di formulare la propria parcella; ovviamente, egli terrà conto di diversi fattori, quali, ad esempio:

  • la complessità dell’incarico;
  • il valore della causa;
  • il numero di udienze e di altre attività difensive da compiere;
  • il numero delle parti da rappresentare in giudizio.

Il compenso è normalmente oggetto di accordo con il cliente, al quale il professionista rilascia un preventivo scritto che andrà accettato prima del conferimento dell’incarico.

Secondo la giurisprudenza, il preventivo scritto non è tuttavia indispensabile per considerare il mandato valido: in sua mancanza e in caso di contestazioni con il cliente, per determinare il compenso dovuto all’avvocato il giudice farà riferimento ai parametri ministeriali previsti dal D.M. n. 55/2014 e successive modifiche e integrazioni.

Tali parametri dipendono, anch’essi, da vari fattori. I principali sono, tra gli altri:

  • il tipo di ufficio giudiziario adito;
  • il valore della domanda;
  • il grado di importanza e di complessità dell’incarico.

Così, ad esempio, per una domanda giudiziale davanti al tribunale, di valore ricompreso nello scaglione tra 5.021 e 26.000 euro, il compenso dell’avvocato potrà oscillare da un minimo di circa 2.700 a un massimo di circa 9.000 euro.

Alla parcella del professionista si aggiungono, inoltre, le spese che andranno necessariamente affrontate sia per iscrivere la causa presso l’ufficio giudiziario competente sia per le altre fasi precedenti e successive.

Tra queste, rientrano le spese per:

  • acquisto del contributo unificato, il cui importo dipende dal valore della lite (ad es., da un minimo di 43 euro a un massimo di 1.686 euro per i giudizi ordinari di primo grado);
  • acquisto della marca da bollo in misura fissa da 27 euro;
  • spese di notifica, registrazione degli atti e altre spese vive.

Esistono, poi, alcune ipotesi di esenzione dal pagamento del contributo unificato: è il caso dei giudizi in materia di lavoro e previdenza, nei quali, al di sotto di una determinata soglia di reddito, la parte ha diritto a non sostenere questo costo né alcune altre spese legate alla causa (si pensi alle spese di notificazione degli atti).

Infine, sempre al ricorrere di specifiche condizioni reddituali (attualmente è previsto un reddito massimo di 11.746,68 euro), i meno abbienti che intendono avvalersi dell’assistenza di un avvocato per avviare una causa possono accedere al beneficio del gratuito patrocinio o “patrocinio a spese dello Stato”.

In quest’ultimo caso, oltre all’esenzione dal pagamento di alcune spese (ad es., contributo unificato e spese di notifica), lo Stato si farà carico di sostenere le spese per la parcella del legale (anche se in misura ridotta).

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# Legge

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