Le elezioni presidenziali del 2024 vedranno democratici e repubblicani sfidarsi per la presidenza Usa, ma il Gop non sembra voler puntare su Trump.
Donald Trump è ancora l’unico repubblicano ad aver dichiarato di candidarsi, ma il suo annuncio ufficiale di novembre non ha creato alcuna particolare passione nel suo partito.
E a giorni scende in campo Nikki Haley. L’ex ambasciatrice all’Onu aveva detto, quando Trump era Trump, che lei non sarebbe entrata in gara contro il suo capo se si fosse presentato. Invece lo fa, primo membro del gabinetto Trump a sfidarlo nelle primarie. Haley, figlia di immigrati dall’India, ha un curriculum di riguardo: prima di essere apprezzata come diplomatica per gli Usa al Palazzo di Vetro, è stata per tre mandati deputata nel suo Stato, la Carolina del Sud, e poi due volte governatore.
Non sarà la sola candidatura che viene dal gabinetto Trump, visto che anche il vicepresidente Mike Pence e il segretario di Stato Mike Pompeo sono decisi a correre. Trump ha già accusato di slealtà Ron DeSantis quando il governatore della Florida si candiderà (cosa quasi certa, in primavera), perché nel 2017, da presidente, lo aveva aiutato alle primarie del Gop.
Così si ritroverà, nei prossimi mesi, accerchiato da avversari. Secondo lui sarebbero sleali, ma questa è la legge della politica in democrazia: uno è premiato, o scaricato, in base a meriti e demeriti. E Trump si è di sicuro meritato di essere sfidato, e sperabilmente scaricato, in un Gop stanco di lui.
I sondaggi, che già non erano brillanti un paio di mesi fa nei suoi riguardi (vedi il mio precedente articolo dopo il voto di medio termine) continuano a essere in discesa. E la sua prima uscita pubblica, con due comizi negli stati chiave del New Hampshire e della Sud Carolina, sono stati il ruggito del topo.
«Muffa sul podio del capo Trump. Il Gop non è stato influenzato dalle sue vecchie battute», ha titolato impietosamente Il New York Post, quotidiano dell’impero di Rupert Murdoch che lo aveva appoggiato nel 2016 e nel 2020. «Trump ha offerto proposte politiche scontate nei suoi discorsi, compresi il rafforzamento dei confini e della lotta al crimine», ha riportato stancamente e gelidamente il Wall Street Journal, il quotidiano più amato dai conservatori e dai Repubblicani. «Gli applausi più calorosi li ha ottenuti citando le battaglie culturali che hanno animato il partito, come la richiesta di vietare agli atleti transessuali di competere negli sport con donne e ragazze».
Un po’ poco, per incidere da protagonista nel nuovo agone politico del 2023.
Niente di lontanamente paragonabile, insomma, ai rally delle campagne precedenti, quando Trump sapeva scaldare un pubblico adorante, e spesso oceanico. Oggi la febbre non c’è più: non solo è percepito come un ‘normale candidato’, o peggio come un professionista della politica che rivendica la sedia perduta contro un avversario accusato (senza prove) di averlo truffato. A pesare sulla sua figura è che una crescente fetta (maggioranza nei sondaggi) dell’elettorato conservatore lo vede ormai come un re nudo, un ex leader che ha un curriculum da sconfitto. Qual è.
Trump aveva vinto sorprendentemente nel 2016, ma nei sei anni successivi ha collezionato solo batoste: ha perso la Camera (41 deputati del Gop in meno) nel voto di medio termine del 2018; è stato cacciato dalla Casa Bianca e ha perso il Senato (3 senatori in meno) nel 2020; recentemente, con i suoi endorsement sciagurati, nel 2022 ha regalato il Senato ai Democratici (ora i Dem sono 51 a 49) e ha ammosciato alla Camera l’ondata rossa, che tutti prevedevano. Invece il Gop ha vinto sul filo di lana, e ha una maggioranza di soli 4 seggi.
Nel tentativo di negare una realtà assodata dopo inchieste e conteggi di vari mesi, Trump continua a sostenere, oggi, che nel 2020 gli hanno rubato la presidenza: un atteggiamento sbagliato e autolesionista che allontana tutti i moderati e gli indipendenti, ma che aliena pure molti repubblicani.
Nei sondaggi tra gli iscritti al Gop negli Stati elettoralmente più sensibili perché sono i primi a tenere le primarie, De Santis supera ormai frequentemente Trump. In Sud Carolina e in New Hampshire, stati scelti non a caso, l’ex presidente ha tenuto i due primi comizi, dopo due mesi e mezzo di silenzio dall’annuncio della campagna, per tentare di stoppare la crescita della concorrenza (Ron DeSantis soprattutto) e l’emorragia di seguito e di visibilità in Stati che l’avevano visto prevalere su Biden due anni fa.
In Sud Carolina, mentre il 37% dei repubblicani vorrebbe ancora Trump candidato, il 47% dice già che è ora di cambiare cavallo. E hanno un’idea: nello stesso sondaggio hanno dato al governatore della Florida, DeSantis per l’appunto, un vantaggio di 19 punti su Trump. Anche in New Hampshire due sondaggi hanno evidenziato le difficoltà dell’ex presidente a emergere: DeSantis lo ha superato di recente per 42% a 30%, e per 52% a 37%. Più clamorosi ancora i vantaggi di DeSantis in Florida, per 56% a 30%, e in Georgia, per 55% a 35%.
Trump ha ancora dalla sua i risultati della media Rcp di un paio di sondaggi nazionali di novembre-dicembre, che gli danno il 46% contro il 30,8% di DeSantis, il 6,4% dell’ex vicepresidente Pence, il 3,2% di Haley, il 2% del senatore Ted Cruz, l’1,7% del senatore Marco Rubio, lo 0,8% dell’ex segretario di Stato Mike Pompeo, e briciole ad altri nomi. Ma, se su base nazionale, quando gli interpellati possono scegliere tra diverse opzioni di possibili sfidanti alle primarie, Trump è in testa e sempre al di sotto del 50%, ciò vuol dire che l’elettorato del Gop, nella sua maggioranza, può numericamente esprimere un’alternativa a Trump.
Si dirà che nel 2016 i candidati “extra Trump” non riuscirono a trovare un nome unificante, come invece hanno saputo fare i Democratici nel 2020 eleggendo Biden.
Il quadro nel Gop, ora, è però oggettivamente molto cambiato dal 2016. Non ci sono solo le lezioni delle nomination passate, nel Gop e nei Dem, di cui i Repubblicani anti Trump devono fare tesoro. È proprio che, dal voto del 2020, è crollata la credibilità di Trump nella stragrande maggioranza del partito: sia tra i quadri dirigenziali sia tra i parlamentari.
Due anni fa, anche dopo la sconfitta alle urne del novembre 2020, non c’era discussione su chi fosse il leader e su chi sarebbe stato il candidato del Gop per il 2024. Nessuno si sognava, né aveva il coraggio, di insidiare il suo dominio. Poi, con l’attacco al Parlamento del 6 gennaio, Trump ha segnato un autogol politico di cui sta, inevitabilmente e meritatamente, pagando ancora le conseguenze. Una sua rimonta nella stima della maggioranza del Paese è realisticamente impensabile, e quindi un suo successo nella corsa alla candidatura repubblicana significherebbe la quarta Casa Bianca ai Democratici negli ultimi cinque quadrienni (2 volte Obama e 2 volte Biden, o chi per lui nel 2024).
Sicuramente per favorire questo esito, ossia per ridare ossigeno al vecchio Trump (78 anni e mezzo quando si voterà), Facebook ha annunciato di riammetterlo nel suo “social club”. Mark Zuckerberg, in grave crisi a Wall Street, spera così di prendere due piccioni con una fava: recuperare il terreno, che sta perdendo contro Tik Tok e le altre piattaforme, grazie ai post di Trump e dei suoi seguaci, e di dare così al repubblicano, ‘cancellato’ nel 2021, una spinterella per fargli vincere le primarie. E far perdere al Gop le elezioni.
Trump avrà a disposizione infatti i suoi vecchi canali di comunicazione digitale (anche il nuovo Twitter di Elon Musk ha tolto il divieto ai suoi tweet), che gli serviranno soprattutto per raccogliere soldi tra i suoi fans irriducibili, finanziatori piccoli ma numerosi.
Trump non ha invece ancora conquistato i sostenitori del Gop più facoltosi e motivati, i pezzi da novanta attenti a mettere denaro pesante su chi li convince politicamente e soprattutto ha le maggiori chance di vincere alle urne nel 2024. Il comitato di raccolta fondi per la campagna di Trump (The Save America Joint Fundraising Committee), ha raccolto meno di 5 milioni di dollari nel dicembre 2022, secondo i dati ufficiali della Fec (Federal Election Commission). La somma è inferiore a quella spesa dal comitato, nello stesso mese, tra invio di messaggi (2,5 milioni), pubblicità online (1,7 milioni) e affitti (950 mila). I Paperoni Repubblicani vogliono scegliere bene chi appoggiare alle primarie per il 2024, e molti hanno già detto che il Gop deve avere un altro portabandiera.
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