Cos’è la sostenibilità: dal rischio greenwashing alla CSR delle imprese

Mirko Malgieri

01/08/2022

La cultura della sostenibilità è ormai un impegno obbligatorio per le imprese, non più per una questione di reputazione aziendale ma per le prospettive di crescita e sviluppo dell’azienda.

Cos’è la sostenibilità: dal rischio greenwashing alla CSR delle imprese

Sostenibilità” è una delle parole che da qualche tempo fanno sempre più breccia nel nostro vocabolario quotidiano, conquistando una posizione centrale all’interno delle agende politiche e mediatiche in larga parte del mondo.

L’Italia, almeno sul web, non fa eccezione: semplicemente consultando Google Trends, ad esempio, si può notare in maniera piuttosto chiara come il trend di ricerca della chiave “sostenibilità” sia in crescita costante negli ultimi anni e che abbia toccato picchi di interesse particolarmente elevati negli ultimi mesi.
Anche le query associate all’argomento (come “ambiente”, “vita sostenibile” ed “economia verde”, per citarne tre) hanno registrato un incremento importante nei loro volumi di ricerca, suggerendo un fenomeno trasversale a sfere tematiche diverse: dalla mobilità al clima, passando dall’economia e il mondo del lavoro.

Sembra dunque sempre di più ampio respiro la presa di coscienza del fatto che le nostre azioni possono condizionare in modo determinante la sopravvivenza dell’ecosistema così come lo conosciamo. Un segnale senza dubbio positivo, soprattutto considerando l’urgenza con cui dovrebbero essere perseguiti i 17 obiettivi (gli SDGs, o Sustainable Development Goals) individuati dall’Agenda 2030 stilata dall’ONU.
Ma è proprio la mole enorme di informazioni disponibili sulla sostenibilità che deve ricordarci quanto sia fondamentale maneggiare con cura questo concetto, affermatosi a fatica nel corso degli ultimi 50 anni.

La sostenibilità: cosa significa e quando nasce

Sebbene, come detto, una conoscenza diffusa del tema abbia subito una significativa impennata solo in tempi relativamente recenti, l’interpretazione moderna e condivisa del termine “sostenibilità” risale a ormai parecchi anni fa.

Una data chiave è il 1987, quando si tiene la Commissione mondiale per l’ambiente e lo sviluppo (WCED, World Commission on Environment and Development) istituita dall’ONU e presieduta da Gro Harlem Brundtland, politica, ambientalista e prima Ministra della Norvegia per due legislazioni.

Il rapporto finale dei lavori della Commissione - detto, per l’appunto, anche Rapporto Brundtland - recava il titolo “Our Common Future” ed è tutt’oggi considerato un caposaldo della riflessione sulle questioni ambientali e sulla loro connessione con gli equilibri socio-economici e i principi di equità intergenerazionale. Di fatto, per la prima volta definisce con logica e lungimiranza il concetto contemporaneo di “sostenibilità” accostandolo a quello di “sviluppo” e alle sue infinite declinazioni verso il futuro, del pianeta e delle persone che lo abitano.

Uno dei passaggi del report rimasti maggiormente impressi nella letteratura descrive infatti lo sviluppo sostenibile come

«[...] uno sviluppo che è in grado di soddisfare i bisogni delle generazioni attuali senza compromettere la possibilità che le generazioni future riescano a soddisfare i propri»

Ma se chiare sono le definizioni e le intenzioni, è difficile dire altrettanto dei significati che sorreggono le parole e che restano impressi nel nostro immaginario.
Questo soprattutto se ci troviamo in un ecosistema informativo in cui istituzioni, aziende, media e social generano un volume di input riguardo la sostenibilità tanto alto da generare, al contempo, il rischio crescente che questa parola venga svuotata dal suo significato originale.

Per approfondire, ne abbiamo parlato con Rossella Sobrero, Presidente di Koinetica, docente universitaria e tra le prime professioniste in Italia a studiare il legame tra sostenibilità e comunicazione: “stiamo vivendo una fase di transizione, una metamorfosi che richiede un cambiamento profondo. Anche se molte persone hanno compreso che è necessario pensare al futuro in modo differente, la cultura della sostenibilità deve fare ancora molta strada".

Una strada tortuosa, da percorrere con gli strumenti giusti per imparare a riconoscere la sostenibilità, le sue manifestazioni reali e quelle “di facciata”.

La sostenibilità nelle aziende: la trappola del washing, responsabilità e fattori ESG

Uno degli ostacoli in cui si rischia di inciampare in questo processo interpretativo è il “greenwashing”, un termine coniato nel mondo della comunicazione d’impresa ma adattabile ad ambiti diversi.
L’enciclopedia Treccani lo definisce infatti come “[...] la strategia di comunicazione o di marketing perseguita da aziende, istituzioni, enti che presentano come ecosostenibili le proprie attività, cercando di occultarne l’impatto ambientale negativo”.

Andando oltre la sola accezione ambientale, esistono diverse e varie tipologie di washing (socialwashing, healthwashing, pinkwashing, solo per citarne alcune) potenzialmente nocive per la cultura della sostenibilità al punto che la professoressa Sobrero puntualizza: “il greenwashing è nemico della trasformazione sostenibile: non è solo una forma di comunicazione scorretta ma è anche concorrenza sleale perché può far dirottare investimenti da attività sostenibili verso altre che non lo sono. Il greenwashing colpisce in particolare i consumatori più “deboli”, quelli che hanno meno strumenti culturali per poter capire quando un messaggio è scorretto. Per cercare di fermare questo fenomeno, i rappresentanti del mondo economico e delle istituzioni devono collaborare con i legislatori per trovare soluzioni adeguate. Anche comunicatori e giornalisti devono fare la loro parte: prima di comunicare è necessario investire il tempo necessario per approfondire le informazioni, i dati, le fonti”.

Di centrale importanza è dunque anche la responsabilità che ricade, a diversi livelli, su tutti gli stakeholder coinvolti: nel mondo d’impresa, questo concetto viene racchiuso nell’acronimo inglese CSR (Corporate Social Responsibility) e può in molti casi generare vantaggi competitivi se interpretato dalle aziende in maniera corretta.
“Per alcune imprese l’impegno sociale e ambientale è diventato un asset strategico” ci spiega ancora Rossella Sobrero: “Parole come responsabilità, collaborazione, condivisione hanno assunto un valore nuovo e termini come trasparenza, coerenza sono presenti nei documenti di tante aziende. Per fortuna cresce il numero di imprese di tutte le dimensioni e settori che hanno inserito la sostenibilità nei piani di sviluppo: questo rappresenta un passo avanti importante”.

A confermare questa tendenza sono anche i dati raccolti dalla ricerca commissionata da Google Cloud alla Harris Poll - società americana specializzata in ricerche di mercato - finalizzata a indagare gli obiettivi, i risultati e le difficoltà che 1.491 dirigenti di altrettante aziende in 16 Paesi stanno affrontando nella propria transizione sostenibile.
All’interno della componente italiana del campione intervistato, lo studio ha evidenziato una crescita d’interesse per i fattori ESG (acronimo di Environmental, Social e Governance) per l’89% dei CEO, che ha dichiarato di investire più tempo e risorse allo sviluppo sostenibile rispetto all’anno precedente la rilevazione.

Allo stesso tempo, tuttavia, altre percentuali emerse dalla ricerca ci riportano nuovamente all’esigenza di interpretare l’idea di «sostenibilità»: il 71% degli intervistati italiani avrebbe riconosciuto infatti che solo poche imprese sanno come tradurre in azioni concrete le loro intenzioni di diventare più sostenibili, così come più della metà di essi sottolinea la mancanza degli strumenti adatti per la misurazione delle prestazioni legate alla sostenibilità.
La survey riporta l’opinione diffusa che nel migliorare questo processo sarà l’evoluzione tecnologica a fare la differenza: fino ad allora, occorrerà continuare a lavorare per arricchire quella cultura di sostenibilità tanto importante ma forse ancora troppo acerba.

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