In quali casi l’azienda può negare il lavoro a distanza e perché? Scopriamo quando il comportamento del datore è illegittimo e che strumenti ha il dipendente per far valere i propri interessi.
Sviluppatosi a seguito dello scoppio della pandemia, nell’ottica di limitare i contatti tra le persone, lo smart working o lavoro agile è una particolare modalità di svolgimento della prestazione lavorativa, introdotta previo accordo tra azienda e dipendente e organizzata anche per fasi, cicli e obiettivi, senza precisi vincoli di orario o luogo di lavoro, con il possibile utilizzo di strumenti tecnologici (vedi pc e telefono) necessari per rendere l’attività.
Quella appena citata è la definizione di lavoro da remoto data dalla legge del 22 maggio 2017 numero 81 che ha introdotto questa particolare modalità lavorativa nell’ordinamento italiano. A questa si è aggiunto, complice anche il boom dello smart working durante l’emergenza Covid, il «Protocollo nazionale sul lavoro in modalità agile» nel settore privato, frutto di un accordo tra ministero del Lavoro e Parti sociali siglato lo scorso 7 dicembre, con lo scopo di fornire alcune linee di indirizzo alla contrattazione collettiva, chiamata a disciplinare lo smart working nei singoli Ccnl.
Alla luce del crescente interesse verso il lavoro a distanza, anche in fase di assunzione presso una nuova realtà, è lecito chiedersi se l’azienda può legittimamente rifiutarsi di concederlo e quali strumenti di pressione ha a disposizione il lavoratore.
Analizziamo la questione in dettaglio.
Che fare se il datore di lavoro non concede lo smart working
Obbligo di accordo tra azienda e dipendente
L’accesso allo smart working prevede necessariamente una reciproca volontà in tal senso da parte del datore di lavoro e del lavoratore, espressa attraverso la stipula di un apposito accordo che la legge numero 81 del 2017 (articolo 19 comma 1) richiede sia redatto in forma scritta, ai fini della regolarità amministrativa e della prova.
L’accordo, a tempo determinato o indeterminato, disciplina sostanzialmente le modalità di esecuzione della prestazione lavorativa a distanza. In particolare i seguenti aspetti:
- l’esercizio del potere direttivo e di controllo del datore di lavoro;
- i tempi di riposo del dipendente;
- gli strumenti utilizzati dal lavoratore per rendere la prestazione in smart working;
- le misure tecnico-organizzative adottate per garantire la disconnessione dalle strumentazioni tecnologiche di lavoro;
- le condotte sanzionabili a livello disciplinare;
- l’eventuale diritto dello smart worker all’apprendimento.
Copia dell’accordo dev’essere trasmessa al ministero del Lavoro, utilizzando l’apposita piattaforma accessibile dal portale «ClicLavoro» o direttamente da «Servizi Lavoro».
All’interno della comunicazione devono essere riportati i dati riguardanti:
- lavoratore interessato;
- datore di lavoro;
- il rapporto di lavoro, come data di assunzione, tipo di contratto di lavoro, Posizione Assicurativa Territoriale (Pat) dell’azienda presso l’Inail e relativa voce di tariffa;
- data di sottoscrizione dell’accordo di smart working e, se a tempo determinato, il periodo di vigenza dello stesso.
La piattaforma consente peraltro di inviare più accordi individuali contemporaneamente, attraverso una comunicazione cosiddetta «massiva».
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Lo smart working «semplificato»
L’emergenza sanitaria causata dal virus Covid-19, in particolare l’esigenza di limitare i contatti tra le persone, tanto sui luoghi di lavoro quanto sui mezzi di trasporto pubblici, ha portato il legislatore a incentivare il ricorso al lavoro agile.
La strada seguita è stata quella di facilitare l’accesso allo smart working (da qui il nome di «semplificato»), in particolare:
- derogando all’obbligo di stipula di un apposito accordo individuale;
- consentendo alle aziende di assolvere gli obblighi di informativa sui rischi per la salute e la sicurezza, legati all’attività a distanza, semplicemente inviando la documentazione (disponibile peraltro sul sito dell’Inail), anche in via telematica, al dipendente e al Rappresentante dei Lavoratori per la Sicurezza (Rls), i quali dovranno restituirla firmata;
- obbligando i datori di lavoro a inviare una comunicazione sintetica al ministero del Lavoro (anche in maniera massiva), utilizzando la piattaforma raggiungibile da ClicLavoro o Servizi Lavoro, con i dati dei lavoratori interessati e della copertura Inail (Pat e voce di tariffa) e il periodo di lavoro in smart working.
Il protrarsi della pandemia ha costretto il legislatore a prorogare numerose volte il lavoro a distanza «semplificato». Da ultimo sino al prossimo 31 agosto, come disposto dall’articolo 10 comma 2-bis, inserito in sede di conversione in legge 19 maggio 2022 numero 52 del dl 24 marzo 2022 numero 24 riguardante «Disposizioni urgenti per il superamento delle misure di contrasto alla diffusione dell’epidemia da Covid-19, in conseguenza della cessazione dello stato di emergenza, e altre disposizioni in materia sanitaria».
Richiesta di smart working
Tanto nei casi di lavoro a distanza «ordinario» (con obbligo di accordo individuale) che «semplificato» (previsto sino al 31 agosto 2022, esente dall’obbligo di stipula di un accordo), il dipendente è tenuto ad avanzare un’esplicita richiesta in tal senso al datore di lavoro.
Quest’ultimo, è chiamato innanzitutto a valutare la sussistenza delle condizioni che consentono la prestazione a distanza, in particolare in ragione:
- della mansione svolta dal lavoratore;
- di eventuali esigenze personali alla base della richiesta di svolgere l’attività a distanza, sottolineate dal dipendente;
- di trattamenti analoghi concessi a lavoratori che svolgono mansioni identiche o simili a quelle dell’istante ovvero assunti nello stesso reparto, ufficio, sede o filiale.
La decisione dell’azienda dev’essere preferibilmente comunicata al lavoratore per iscritto, a mezzo comunicazione cartacea o inviata per posta elettronica.
Può il datore di lavoro rifiutare lo smart working?
In presenza di ragionevoli e fondate motivazioni, il datore di lavoro può rifiutarsi di concedere il lavoro a distanza, nell’ambito di quello che è il suo potere di organizzare l’attività economico-produttiva.
Le ragioni alla base della decisione possono essere legate, ad esempio:
- all’impossibilità di svolgere l’attività a distanza, per le modalità di esecuzione della mansione stessa (ad esempio per il necessario contatto con il pubblico);
- all’impossibilità di organizzare l’attività economico-produttiva in maniera tale da consentire la prestazione da remoto, a meno che l’azienda non debba far fronte a costi eccessivi o al rischio di danni o disservizi che possano comportare gravi danni a persone o cose;
- all’impossibilità di realizzare un meccanismo di rotazione tra i dipendenti, garantendo, a turno, parte dell’attività da remoto.
Sul legittimo rifiuto dell’azienda si è pronunciato il Tribunale ordinario di Grosseto, Sezione Lavoro, con sentenza del 23 aprile 2020.
La controversia all’esame del giudice è sorta a seguito di ricorso avanzato da un dipendente, assunto con contratto a tempo indeterminato per lo svolgimento di mansioni di addetto al servizio assistenza legale e contenzioso, di cui al livello 5° del Ccnl Commercio e terziario - Confcommercio.
Il dipendente, lamentava un illegittimo rifiuto del datore di adibirlo al lavoro agile, a differenza di tutti gli altri colleghi del medesimo reparto, prospettandogli al contrario un ricorso alle ferie.
Il datore di lavoro si difendeva rimarcando l’impossibilità di modificare l’organigramma del personale cui era consentito il lavoro da remoto, salvo affrontare costi significativi in termini economici e organizzativi in generale. Sul punto, il giudice ritiene poco plausibili le motivazioni aziendali, fondate sugli eccessivi oneri da sostenere per la predisposizione dei mezzi informatici, necessari per la prestazione da remoto sul pc di lavoro.
Trattandosi di «un’importante società per azioni operante nel settore della fornitura di energia elettrica e gas sul territorio nazionale», si legge nella sentenza, le motivazioni «appaiono pretestuose e incomprensibili a fronte della già attuata misura in favore degli altri dipendenti del medesimo reparto del ricorrente e dei, ragionevolmente, circoscritti interventi necessari per mettere in condizioni» il lavoratore di rendere l’attività da remoto.
Nell’accogliere il ricorso del lavoratore, il Tribunale sottolinea che «accertata la sussistenza delle condizioni per ricorrere al lavoro agile, il datore di lavoro non può agire in maniera irragionevolmente o immotivatamente discriminatoria nei confronti di questo o quel lavoratore» restando tuttavia «impregiudicata ogni riserva di valutazione nel merito connessa al legittimo esercizio del potere di iniziativa imprenditoriale costituzionalmente garantito».
Come può reagire il lavoratore?
A fronte del rifiuto dell’azienda di concedere lo smart working, il lavoratore può innanzitutto chiederne le ragioni al proprio responsabile se non direttamente al datore di lavoro.
A questo punto, se l’interessato ritiene che:
- le motivazioni addotte sono palesemente infondate;
- il trattamento a lui riservato è discriminatorio rispetto a situazioni simili per mansioni o altri fattori (ad esempio il grado di indipendenza nello svolgere l’attività) in cui il lavoro a distanza è stato concesso;
può chiedere in prima istanza un consulto con un avvocato o un sindacalista, il quale tenterà un approccio informale con l’azienda, al fine di risolvere la questione.
Rivelatosi infruttuoso il confronto con il datore, non resta che trasmettergli una comunicazione scritta, a firma del rappresentante sindacale o del legale.
L’ultima spiaggia per far valere le proprie pretese è quella di ricorrere in tribunale, dinanzi al giudice del lavoro.
In tal caso si dovrà tuttavia considerare i costi che una controversia comporta, in termini soprattutto di spese legali.
Per concludere è altresì importante considerare, a sostegno delle pretese del lavoratore, i casi particolari in cui lo stesso, per sue condizioni personali o familiari, ha diritto a svolgere l’attività da remoto, ovvero:
- genitori lavoratori dipendenti, con figli minori di 14 anni. Hanno diritto a svolgere la prestazione da remoto anche in assenza di accordo individuale, sino al 31 luglio 2022 (se tale modalità di svolgimento della prestazione è compatibile con le caratteristiche del lavoro);
- genitori lavoratori con figli minori disabili. Hanno diritto a prestare l’attività da remoto, anche in assenza di accordi individuali, sino al 30 giugno 2022 (a patto che l’attività lavorativa non richieda necessariamente la presenza fisica);
- lavoratori maggiormente esposti al rischio di contagio da Covid-19. Hanno diritto allo svolgimento della prestazione in modalità agile, anche in assenza di accordi individuali, sino al 31 luglio 2022 (se tale modalità di svolgimento della prestazione è compatibile con le caratteristiche del lavoro);
- lavoratori cosiddetti «fragili» la cui prestazione lavorativa, sino al 30 giugno 2022, è svolta di norma in modalità agile, anche attraverso l’assegnazione a una diversa mansione, ricompresa nella stessa categoria o area di inquadramento, ovvero lo svolgimento di specifiche attività di formazione professionale, anche da remoto.
I datori di lavoro sono inoltre tenuti a riconoscere priorità alle richieste di svolgimento dell’attività da remoto, avanzate da lavoratrici nei 3 anni successivi la conclusione del congedo di maternità, ovvero da lavoratori con figli in condizione di disabilità grave.
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