Quali sono le varianti del coronavirus che fanno più paura? Ecco quali sono i sintomi e tutte le informazioni sulle 3 mutazioni che spaventano maggiormente.
Nel corso delle ultime settimane si sono rincorse le notizie che annunciavano la scoperta di nuove varianti del coronavirus, seminando la paura tra la popolazione e tra gli scienziati, temendo che i vaccini attualmente prodotti e somministrati non avessero effetto su questi nuovi ceppi.
Ma quali sono le 3 varianti del coronavirus che fanno più paura? Ecco i loro sintomi e tutto quello che sappiamo fino ad ora sulle nuove mutazioni del Covid-19
Covid, le 3 varianti che fanno più paura
Da quella inglese, a quella sudafricana, fino a quella del Brasile, quali sono le varianti del coronavirus che fanno più paura? Negli ultimi mesi abbiamo imparato a conoscerne alcune, tuttavia, come precisa Roberto Amato a La Repubblica, il coronavirus muta ogni volta che contagia una persona, tuttavia nella maggioranza dei casi, i cambiamenti sono quasi completamente insignificanti.
In alcuni casi però le mutazioni possono assumere delle connotazioni più preoccupanti e iniziare a diffondersi. In alcuni casi infatti la proteina Spike, quella utilizzata per entrare nell’organismo, produce un vantaggio evolutivo tramandato anche alle altre replicazioni, rendendo imprevedibile il suo comportamento. Ecco quali sono le varianti conosciute fino ad ora che spaventano di più
1. Variante del Regno Unito
La variante del Regno Unito è senza ombra di dubbio quella che spaventa maggiormente, visto l’elevato tasso di trasmissione che sta mettendo in ginocchio la Gran Bretagna nelle ultime settimane facendo toccare cifre record. Secondo i ricercatori ha avuto origine nel Sud-Est del Paese a settembre e al momento conta 23 mutazioni, 14 delle quali localizzate sulla proteina spike.
Secondo le ultime ricerche sembra che questa variazione abbia un tasso di infettività superiore del 56% rispetto al ceppo originario, e al momento si sarebbe già diffusso in 61 paesi. Stando ai dari, il 9 dicembre rappresentava oltre il 60 per cento di tutti i casi positivi nel Regno Unito. Lo scorso venerdì il premier britannico ha anche annunciato un tasso di mortalità superiore del 30%.
Per quanto riguarda i sintomi non sembrano esserci differenze con il ceppo originale, come per il virus tradizionale le persone infette manifestano febbre, tosse secca e stanchezza.
2. Variante Sudafricana
Anche la variante sudafricana presenta, proprio come quella del Brasile, una mutazione E484K sulla proteina Spike, ed anche se sono simili, hanno avuto due origini diverse, precisano gli esperti.
Questa variante è stata identificata per la prima volta nella Nelson Mandela Bay in agosto, secondo quanto riferito dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, e sembrerebbe la responsabile della seconda ondata del Paese. L’alta carica virale di questo ceppo suggerisce anche una maggiore contagiosità, tuttavia, come ribadisce l’OMS, “non ci sono prove chiare che la nuova variante sia associata a forme di malattia più gravi o a esiti peggiori”.
3. La variante del Brasile
La variante del Brasile, chiamata B.1.1.28, ma conosciuta come P.1 si caratterizza per una costellazione unica di mutazioni, tra cui la E484K, comune alla variante del Sudafrica. Questa mutazione spaventa gli scienziati dal momento che potrebbe indebolire la risposta degli anticorpi nelle persone guarite da una precedente infezione o che hanno ricevuto il vaccino.
Al momento la variante del Brasile è stata segnalata in solamente 6 Stati, tra cui il Giappone, ed è la responsabile della drammatica situazione che sta fronteggiando il Paese Carioca.
Altre varianti individuate
Oltre ai tre principiali ceppi di coronavirus che spaventano le autorità di tutto il mondo, gli scienziati hanno individuato altre mutazioni del coronavirus nel corso delle settimane, tra queste:
- la D614G. Secondo uno studio, la variante D614G sarebbe quella che ha dato origine alla seconda ondata in Europa, e sarebbe stato isolato per la prima volta a Huston nell’aprile 2020 e tutt’ora in circolo. Si tratterebbe della prima mutazione del coronavirus che ha avuto origine dal ceppo cinese e che si è diffusa principalmente in Italia e in Germania. Da uno studio pubblicato su Nature è emerso inoltre che questa mutazione è in grado di aumentare la carica virale nel tratto respiratorio superiore, accrescendo anche la trasmissibilità.
- Il Cluster-5 è quello che è diventato tristemente noto per essersi diffuso principalmente all’interno degli allevamenti di visoni in Danimarca e che ha contagiato anche qualche essere umano. A rassicurare su questa variante ci hanno pensato i ricercatori di Oxford, che il 13 novembre scorso hanno pubblicato su Nature uno studio in cui dichiarano che le mutazioni dei visoni non sono particolarmente preoccupanti ma soprattutto che non sembrano compromettere l’effetto dei vaccini. Su questa variante si è espresso anche Giorgio Palù, emerito di virologia all’università di Padova e presidente dell’agenzia italiana del farmaco:
“Il suo comportamento ci fa pensare che il coronavirus intende permanere nella specie umana e di non voler estinguersi. Sta continuando il suo percorso di adattamento e tutto fa pensare che voglia trovare una forma di convivenza con noi”.
- La variante italiana. Gli esperti hanno annunciato anche la presenza di una variante italiana che sarebbe in circolo dallo scorso agosto e che con molta probabilità ha dato vita a quella del Regno Unito. Come ha spiegato Arnaldo Caruso, presidente della Società italiana di virologia, “come quella inglese, anche la variante italiana ha una mutazione in un punto nevralgico dell’interazione Spike/recettore cellulare, più precisamente in posizione 501. Ma la variante italiana ha anche una seconda mutazione in posizione 493, che rende la sua proteina Spike leggermente diversa da quella del virus pandemico che tutti oggi conosciamo”.
- L’incremento dei contagi in Francia e la comparsa di diversi focolai di origine ignota stanno facendo aumentare i sospetti di una possibile variante francese, che sia nata per dare la virus un vantaggio evolutivo. Le autorità sanitarie francesi hanno quindi deciso di svolgere delle analisi sui genomi rilevati in un focolaio della epidemia formatosi nell’ospedale di Compiègne, a poca distanza dalla Capitale, Parigi, che avrebbe coinvolto oltre 170 pazienti e 70, tra medici e infermieri. Al momento sembrerebbe che questi nuovi casi non siano riconducibile alla variante del Regno Unito, ma si teme che siano dovuti a una mutazione autoctona.
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