Dimissioni in bianco in arrivo in Italia, come funzionano e conseguenze

Simone Micocci

07/10/2024

Tornano le dimissioni in bianco per tutelare le imprese dai furbetti della Naspi. Ecco cosa cambia e quali sono le conseguenze per il lavoratore.

Dimissioni in bianco in arrivo in Italia, come funzionano e conseguenze

In Italia stanno per tornare le dimissioni in bianco, per quanto siano molto differenti da quelle che erano utilizzate fino a quando la legge Fornero prima e il Jobs Act poi non hanno messo un freno a una pratica molto scorretta nei confronti dei lavoratori.

Con il termine “dimissioni in bianco” si era soliti infatti mascherare un licenziamento voluto dall’azienda. C’erano imprese che per tutelarsi dai paletti imposti dalla normativa in merito al licenziamento erano solite far firmare al momento dell’assunzione un modulo di dimissioni, senza data, da poter utilizzare qualora ce ne fosse stato bisogno. Anziché licenziare, dovendosi fare carico del costo che ne consegue oltre al rischio che il lavoratore possa impugnare questa decisione chiedendo un reintegro o un risarcimento, si potevano quindi imporre le dimissioni ricorrendo al foglio già firmato. Un vero e proprio atto di forza a cui di fatto è stata messa la parola fine con l’introduzione delle dimissioni telematiche.

Se con l’addio delle dimissioni in bianco a essere tutelati sono stati i lavoratori, con il loro ritorno è alle imprese che si sta pensando. Ci sono casi infatti in cui è l’impresa a essere ostaggio del lavoratore, il quale approfitta delle tutele a lui riconosciute per forzare il datore di lavoro a licenziarlo.

Così come all’azienda conviene che sia il dipendente a dimettersi piuttosto che procedere con il licenziamento, al lavoratore conviene essere licenziato così da poter eventualmente beneficiare dell’indennità di disoccupazione (chiamata Naspi nel caso dei lavoratori dipendenti). E per forzare il datore di lavoro a prendere questa decisione può mettere in atto una serie di meccanismi: il più comune è quello messo per cui smettono di presentarsi al lavoro, con l’azienda che prima o poi - piuttosto che mantenere la posizione aperta - procederà con il licenziamento.

Le dimissioni in bianco, seppure in una forma totalmente differente da quella che eravamo abituati a conoscere, stanno quindi per tornare. Vediamo in che modo e soprattutto quali sono le conseguenze per il lavoratore.

Dimissioni in bianco nel ddl collegato lavoro

La Camera nelle prossime ore darà il primo via libera al disegno di legge “collegato lavoro, con il quale vengono introdotte novità su cassa integrazione, periodo di prova, lavoro stagionale e appunto dimissioni in bianco.

Concentriamoci su quest’ultimo punto. Nel ddl viene aggiunto un comma all’articolo 26 del Jobs Act (d.lgs 151 del 2015) dove viene stabilito che se l’assenza ingiustificata si protrae oltre al limite previsto dal Ccnl di riferimento, o in mancanza di una previsione contrattuale per un periodo superiore a 15 giorni, allora al datore basterà darne comunicazione dall’Ispettorato nazionale del lavoro competente sul territorio per far sì che il rapporto di lavoro si interrompa per dimissioni rassegnate tacitamente dal lavoratore.

Non presentandosi per oltre 15 giorni al lavoro senza darne alcuna giustificazione o comunicazione all’azienda, quindi, è come se il lavoratore comunichi la propria intenzione di rassegnare le dimissioni. Non serve quindi che il datore di lavoro proceda con il licenziamento, in quanto sarà l’Ispettorato a riconoscere la volontà, seppure non esplicitamente manifestata, del dipendente di lasciare il lavoro.

Le conseguenze per il lavoratore

Non presentarsi al lavoro cessa quindi di essere un escamotage con cui il lavoratore può forzare il licenziamento mantenendo il diritto alla Naspi. In quanto dimissionario, infatti, questo non potrà fare richiesta per l’indennità di disoccupazione, riservata solamente a coloro che perdono il lavoro per cause non dipendenti dalla loro volontà (tra cui rientrano anche le dimissioni ma solo quando sussiste la giusta causa).

E non solo, perché con le dimissioni non si considera rispettato neppure il periodo di preavviso: salvo il caso in cui il lavoratore faccia ritorno al lavoro nei giorni che lo prevedono, quindi, dovrebbe anche farsi carico di una relativa indennità pari allo stipendio che gli sarebbe spettato laddove il preavviso fosse stato lavorato.

L’assenza ingiustificata, che ricordiamo non viene neppure retribuita al lavoratore oltre a interrompere i termini per la maturazione di tredicesima ed eventuale quattordicesima comporterebbe quindi notevoli svantaggi per il lavoratore.

Le dimissioni in bianco sono incostituzionali?

Nonostante questa norma sia stata ritagliata per mettere fine al fenomeno dei furbetti dell’assenza ingiustificata al fine di godere della Naspi, non sono mancate le polemiche da parte delle opposizioni che appunto ritengono possa trattarsi di un tentativo di ripristinare la vecchia pratica delle dimissioni in bianco.

Un’opposizione che ad esempio ha contribuito a innalzare il limite oltre cui l’assenza ingiustificata fa scattare le dimissioni in bianco: non più 5 ma 15 giorni appunto.

Nonostante ci sono diversi esperti che puntano all’incostituzionalità di questa norma. Un parere autorevole è quello rilasciato dall’avvocato giuslavorista Bartolo Mancuso al Fatto Quotidiano, secondo cui la Costituzione utilizza i termini “lavoro” e “lavoratori” per ben 28 volte, di cui 3 tra i principi fondamentali. L’imprenditore invece non viene mai menzionato, a dimostrazione che è “il lavoratore il soggetto debole che va tutelato”.

Sulla norma quindi ci sono pareri contrastanti, il che ci dice che probabilmente la sua approvazione non sarà sufficiente per evitare il nascere di contenziosi che potrebbero risolversi solamente con l’intervento della Corte Costituzionale.

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