Per le dimissioni rassegnate in maternità ci sono regole differenti sia per quanto riguarda la procedura che per obblighi e conseguenze in materia di preavviso e indennità di disoccupazione.
Le dimissioni rassegnate durante il periodo di maternità seguono una procedura differente rispetto alla generalità dei lavoratori.
Il Testo Unico per la tutela ed il sostegno della maternità e della paternità, emanato con il D.lgs n. 151 del 26 marzo 2001, infatti, ha introdotto una serie di disposizioni in materia di tutela della lavoratrice madre, tra cui il divieto assoluto di licenziamento, salvo il caso di cessazione dell’attività aziendale, e una serie di agevolazioni per le donne che a seguito di una gravidanza decidano d’interrompere il rapporto di lavoro.
Ad esempio, viene stabilito che le dimissioni - come pure le risoluzioni consensuali - presentate dalla lavoratrice durante la gravidanza, o anche dal lavoratore (o lavoratrice) nei primi 3 anni di vita del bambino (o di accoglienza del minore adottato o in affidamento), devono essere convalidate dai servizi ispettivi del lavoro.
Proprio per questo motivo la procedura per le dimissioni rassegnate durante la gravidanza, o comunque entro i primi 3 anni del figlio, è più complessa rispetto alle normali dimissioni telematiche.
Ma le dimissioni per maternità differiscono da quelle presentate in altre circostanze non solo per quanto riguarda la procedura, ma anche per obblighi e conseguenze. Ad esempio, le dimissioni in maternità non solo danno diritto alla Naspi, ma fanno venir meno anche l’obbligo di preavviso.
Quando si danno le dimissioni in maternità
Tra le tutele riconosciute alle lavoratrici dipendenti che diventano madri c’è quella che introduce una particolare procedura nell’ambito delle dimissioni.
Nel dettaglio, come visto sopra, la normativa stabilisce che le dimissioni rassegnate in gravidanza o entro i primi 3 anni di vita del bambino, devono essere convalidate dall’Ispettorato nazionale del lavoro, così da accertare che non ci siano state costrizioni da parte del datore di lavoro.
Per quanto riguarda le tutele, ossia il diritto all’indennità di disoccupazione Naspi e il venir meno dell’obbligo di preavviso per la lavoratrice che si dimette per maternità, il periodo da prendere come riferimento ha una durata ridotta.
In questo caso, infatti, si parla di periodo tutelato di maternità, il quale ha inizio a partire da 300 giorni prima della data presunta del parto e fino al compimento del primo anno di vita del bambino.
Durante questo lasso di tempo, quindi, la lavoratrice può dimettersi mantenendo il diritto alla Naspi, e senza rischiare alcunché per il mancato preavviso. Regola che tuttavia non si applica nel caso di colf e badanti, in quanto non rientrano nell’ambito di applicazione degli articoli 54 e 55 del Trattato unico di maternità.
Dimissioni per maternità: diritto all’indennità di disoccupazione
Ricordiamo che l’indennità di disoccupazione spetta solo quando il rapporto di lavoro cessa per cause indipendenti dalla volontà del lavoratore, quindi nel caso di licenziamento o anche di dimissioni per giusta causa.
Lo stesso vale - come abbiamo anticipato - per le dimissioni presentate durante e dopo la gravidanza.
In questo caso, quando le dimissioni vengono date seguendo la procedura indicata di seguito, purché entro il compimento del 1° anno di vita del figlio, la lavoratrice può beneficiare dell’indennità di disoccupazione, ma solo quando sono presenti 13 settimane contributive negli ultimi 4 anni (escluse quelli che hanno già dato luogo alla Naspi).
Niente preavviso per le dimissioni in maternità
Altra tutela riconosciuta alle lavoratrici che diventano mamme c’è quella per cui le dimissioni possono essere date anche senza preavviso (così come per le dimissioni per giusta causa).
La lavoratrice, quindi, può decidere d’interrompere unilateralmente il rapporto di lavoro in qualsiasi momento, senza dover pagare le conseguenze di un mancato preavviso.
Come dare le dimissioni per maternità
Come anticipato, le dimissioni per maternità non si danno telematicamente; queste, infatti, vanno presentate all’Ispettorato del Lavoro, al quale spetta il compito di convalidarle.
Per dare le dimissioni per maternità, quindi, la lavoratrice deve prima comunicare le dimissioni al datore di lavoro e poi recarsi personalmente alla Direzione Provinciale del Lavoro di competenza portando con sé i seguenti documenti:
- documento d’identità;
- ultima busta paga;
- tessera sanitaria (o anche codice fiscale);
- copia del contratto di lavoro.
Bisognerà inoltre rilasciare una dichiarazione riguardo alla propria volontà di dimettersi, confermando che si tratta di una libera scelta. Allo stesso tempo questa dovrà anche spiegare il motivo specifico che ha portato a questa decisione, come ad esempio può essere l’incompatibilità tra occupazione lavorativa e assistenza al neonato, o anche ricongiungimento al coniuge o la variazione delle mansioni lavorative.
Spetta al funzionario dell’ufficio convalidare le dimissioni; a questo punto riceverete due copie, una delle quali la dovrete consegnare al datore di lavoro per poter rendere effettive le dimissioni. Sarà l’azienda, infatti, a procedere con la comunicazione della cessazione del rapporto di lavoro.
Ricordiamo che con la fine dello stato di emergenza emanato per Covid è venuta meno la procedura semplificata che consentiva di convalidare le dimissioni semplicemente inviando un modello compilato in ogni sua parte e sottoscritto dalla lavoratrice. Tuttavia, vi è la possibilità di effettuare un colloquio a distanza con il personale dell’Ispettorato.
La richiesta va effettuata presentando il modello che trovate in allegato, compilato in ogni sua parte, al competente ufficio, individuato in base al luogo di lavoro o di residenza della lavoratrice interessata. Il modello va inviato per mezzo di email, dopo aver cercato l’indirizzo corrispondente all’ufficio competente sul vostro territorio, allegando un documento d’identità e la lettera di dimissioni presentata al datore di lavoro, debitamente data e firmata.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Argomenti