La Tunisia non ha più interesse ad essere strumentalizzata da Stati Uniti e UE: Saied ora guarda a Mosca e Pechino.
Dodici anni dopo l’inizio della Primavera Araba con il rovesciamento del presidente Zine el Abidine Ben Ali, ben poco è rimasto di quella stagione. Coloro che una volta scendevano in piazza cantando per la libertà ora appaiono compiacenti di fronte al nuovo uomo forte del paese, il presidente Kais Saied. Anche i guadagni ottenuti come la libertà di espressione si sono erosi. Due anni fa, Saied sciolse l’Assemblea nazionale e anche l’istituzione dei consigli locali, una delle conquiste dell’era rivoluzionaria, è stata disattesa, a seguito della riforma costituzionale e delle elezioni legislative. Ora, i membri del parlamento possono agire solo a proprio nome e non più sotto la bandiera di un gruppo politico.
Le manifestazioni si stanno svolgendo a Tunisi e in altre grandi città in risposta a questi cambiamenti, ma il dinamismo del passato è scomparso. La popolazione è disillusa da un primo decennio di esperienza democratica in cui ha goduto di libertà mai avute, ma ha trovato il paese impantanato negli antagonismi tra gli islamisti di Ennahda e le formazioni politiche socio-democratiche.
Mentre il parlamento si impegnava in incessanti cambiamenti politici, l’economia è crollata con PIL in declino, esodo di investitori, inflazione, disoccupazione e carenza di beni primari. La Banca Mondiale evidenzia evidenti disparità sociali e una totale disorganizzazione: «In Tunisia, le famiglie più ricche ricevono tre volte più aiuti alimentari ed energetici rispetto alle più povere».
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