Ripresa economica o recessione in Europa? La regione è al bivio, con il peso della lotta all’inflazione che pressa banche centrali e Governi. Cosa può accadere e perché la svolta è necessaria ora.
L’Europa si trova in un punto di svolta per il rilancio della sua economia: adesso è il momento cruciale per riportare i prezzi al consumo alla normalità ed evitare la pericolosa spirale della recessione.
A confermare questa visione, già ampiamente condivisa negli ambienti economici e politici dell’Ue e degli Stati membri, è il FMI. In un suo report sull’outlook del continente, il richiamo alla necessità di cambiare rotta è chiaro: “Dopo il paralizzante shock dei prezzi energetici dello scorso anno causato dall’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, l’Europa si trova ad affrontare il difficile compito di ripristinare la stabilità dei prezzi ora, garantendo al tempo stesso una crescita forte ed ecologica nel medio termine”.
Questo si legge nella sintesi del Fondo Monetario Internazionale. L’occasione della pubblicazione del documento è interessante e utile per fare, nuovamente, il punto su cosa sta accadendo all’economia europea e quale possibilità ha il vecchio continente di non soccombere in una crisi economica.
L’Europa in bilico tra inflazione, crescita, recessione
Nel complesso contesto dell’economia globale, l’Europa si colloca in una posizione difficile. Il vecchio continente, pressato dalla vulnerabilità energetica, da un’inflazione ancora troppo elevata, da una crescita ferma e con previsioni cupe nel breve-medio periodo, deve agire ora se vuole evitare recessione o stagflazione (che per alcuni analisti già sta arrivando).
leggi anche
Perché il gas è un rompicapo per l’Europa
Il momento è cruciale per il FMI, secondo il quale: “Se [l’Europa] non si riesce a contrastare l’inflazione adesso si rischierà di danneggiare ulteriormente la crescita in un mondo esposto a shock strutturali derivanti dalla frammentazione e dal cambiamento climatico. Questi venti contrari a livello globale si aggiungono ai problemi di produttività e convergenza di lunga data dell’Europa”.
Tuttavia, spiragli di ottimismo si intravedono. Le prospettive per l’Europa sono quelle di un atterraggio morbido, con un’inflazione in graduale calo. La crescita nella regione nel complesso dovrebbe rallentare all’1,3% nel 2023 dal 2,7% dell’anno scorso, e migliorare all’1,5% nel 2024.
Nelle economie europee avanzate, quelle orientate ai servizi si riprenderanno più rapidamente rispetto alle nazioni con una maggiore vocazione manifatturiera, che devono far fronte a una domanda esterna bassa e sono più esposti agli elevati prezzi dell’energia.
Allo stesso modo, le economie dei mercati emergenti europei registreranno una lieve ripresa nel 2024, ma la portata varierà da un Paese all’altro, a seconda dell’intensità energetica della produzione, dell’orientamento al settore dei servizi e, soprattutto per i Paesi più orientali, del peso dell’interruzione dei rapporti commerciali con la Russia.
In questo quadro così dipinto dagli analisti del FMI, c’è spazio anche per una riflessione sulla politica delle banche centrali. Riportare i prezzi al consumo a livelli normali – dopo che sono aumentati in seguito all’attacco della Russia all’Ucraina e innescato i più ripidi aumenti dei tassi dell’era dell’euro – potrebbe richiedere diversi anni.
“Mantenere una politica monetaria restrittiva è quindi fondamentale per garantire il ritorno dell’inflazione al target entro un arco di tempo ragionevole”, ha affermato il FMI. “L’incertezza sulla persistenza dell’inflazione è ampia, e il costo di un allentamento troppo precoce è sostanziale”.
Le banche centrali in Europa hanno aumentato i costi di finanziamento a una velocità senza precedenti per domare l’inflazione, con un impatto che si avverte su tutte le economie. Tuttavia, la convinzione è che la strada sia quella giusta. Per questo, per evitare bruschi contraccolpi, sarà di vitale importanza anche lo sforzo dei Governi nel razionalizzare le politiche interne di spesa pubblica e fiscali.
“Riducendo i deficit, la politica fiscale integra la politica monetaria nella lotta contro l’inflazione”, ha allertato il FMI.
Ma la sfida è enorme. Far fronte alle esigenze di spesa per l’istruzione, le difficoltà demografiche,
infrastrutture e il cambiamento climatico, limitando allo stesso tempo i grandi deficit richiederà grande lungimiranza e capacità di governare i conti pubblici.
Inoltre, il rapporto debito pubblico/Pil si prevede che aumenterà nel medio termine nella maggior parte delle economie di mercato emergenti europee, con conseguenze quali crescita lenta e balzo del costo del servizio del debito.
Questi Paesi dovranno anche razionalizzare meglio la spesa e mobilitare le entrate per portare il rapporto debito pubblico su un percorso discendente. Per le economie dell’Ue, rafforzare la capacità di assorbire i miliardi di euro elargiti dal Recovery Plan per infrastrutture resilienti al clima, protezione sociale e accelerazione della transizione green continua a essere una priorità.
Le sfide da non perdere in Europa. Con un allarme salari
La necessità di svoltare verso la crescita richiede impegni politici precisi all’Europa. Ci sono sfide che non si possono perdere, secondo il rapporto FMI.
Per esempio, come spiegato: “Le politiche strutturali rimangono cruciali per raggiungere una crescita forte, verde ed equamente distribuita. Le riforme dovrebbero concentrarsi sulla rimozione delle barriere che impediscono l’innovazione e il dinamismo economico. Un contesto imprenditoriale rafforzato con politiche che incoraggino gli investimenti e la spesa in ricerca e sviluppo migliorerà concorrenza che aumenta la produttività”.
Attenzione, poi, alla dinamica dei salari. Se da un lato l’aumento dei salari sta aiutando la ripresa economica dell’Europa, dall’altro rischia di alimentare ulteriori pressioni inflazionistiche, soprattutto se non accompagnate da miglioramenti della produttività, ha affermato il Fondo monetario internazionale. Fattori strutturali come l’invecchiamento della società e la preferenza per settimane lavorative più brevi, nel frattempo, fanno sì che i datori di lavoro si trovino ad affrontare una concorrenza più accanita nell’attrarre lavoratori.
Secondo il rapporto, tali rischi sono particolarmente pronunciati nelle economie emergenti europee, dove le retribuzioni sono aumentate a un ritmo più rapido rispetto alle parti più avanzate della regione.
“C’è una linea sottile tra il sostegno alla ripresa economica e il bandire un’inflazione persistentemente elevata. Le banche centrali devono vigilare sui rischi al rialzo dell’inflazione e monitorare attentamente gli accordi salariali e la loro coerenza con le tendenze della produttività. Una marcata divergenza sarebbe preoccupante”, ha sottolineato il documento.
Da evidenziare che i salari sono aumentati a tassi annuali a due cifre in gran parte dell’Europa centrale e orientale nel secondo trimestre – dal 16,9% in Ungheria al 9,9% in Slovacchia, con la regione in cima alle classifiche dell’Ue per aumenti salariali e superando il 4,5% di media del blocco. Tuttavia, anche l’inflazione in gran parte della regione ha superato di gran lunga la media dell’Unione europea.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Argomenti