Come recuperare la Naspi non goduta dopo le dimissioni? La soluzione è quella di farsi assumere da un’altra azienda, ma attenzione ai rapporti di lavoro fittizi e alle conseguenze penali previste.
C’è una soluzione per prendere la Naspi subito dopo le dimissioni da un rapporto di lavoro: quella di farsi assumere a tempo determinato da un’altra azienda, in modo tale che alla scadenza del contratto si avrà diritto non solo all’indennità di disoccupazione per l’ultimo rapporto di lavoro ma anche per quello precedente, cessato appunto con le dimissioni del lavoratore.
Il problema è che in questo modo si commette reato.
Eppure questa pratica risulta ancora molto diffusa, probabilmente perché non si conoscono bene i rischi della falsa assunzione ai fini Naspi. Conseguenze non di poco conto, in quanto si tratta a tutti gli effetti di una truffa ai danni dello Stato e come tale viene sanzionata, sia per il dipendente “assunto” che per l’azienda che accetta di contrattualizzarlo fittiziamente.
Falsa assunzione ai fini Naspi: per quale motivo?
Come noto ai più, la Naspi - anche detta indennità di disoccupazione - non spetta a coloro che rassegnano le dimissioni. Requisito essenziale per avere diritto a tale prestazione, infatti, è quello di aver perso involontariamente il lavoro, cosa che - eccetto nel caso in cui sussista la giusta causa - non avviene in caso di dimissioni.
Tuttavia, questo non vuol dire che il periodo lavorato interrotto con le dimissioni non venga mai preso in considerazione ai fini Naspi.
Nel quantificare importo e durata dell’indennità di disoccupazione, infatti, l’Inps guarda a tutti i rapporti di lavoro avuti negli ultimi 4 anni, a patto che questi non abbiano già dato luogo a Naspi.
Questo significa che in caso di successiva riassunzione, e una volta che il nuovo rapporto di lavoro si interrompe per cause non dipendenti dalla volontà del dipendente (come ad esempio alla scadenza di un contratto a tempo determinato), questo potrà richiedere la Naspi anche per il periodo arretrato, in quanto gli verranno riconosciute tutte le esperienze lavorative avute negli ultimi 4 anni, comprese quelle cessate per sua volontà.
A tal proposito, ricordiamo che per il calcolo dell’importo si guarda all’ultimo quadriennio, ma perlopiù è per la durata della prestazione che conviene aver lavorato quanto più possibile negli ultimi 4 anni. La durata della Naspi, infatti, è pari alla metà delle settimane contributive avute negli ultimi 4 anni, per un massimo quindi di 24 mesi.
Detto questo, vi spieghiamo cosa succede alcune volte. Tizio vuole lasciare l’azienda in cui si trova da oltre 5 anni, e una volta appurato che il datore di lavoro non intende licenziarlo decide di rassegnare le dimissioni rinunciando però alla possibilità di percepire la Naspi per un periodo di 24 mesi. Tuttavia, Tizio si rivolge all’azienda Beta di un suo caro amico, chiedendogli di assumerlo anche solo per pochi giorni. Questo accetta e le parti firmano un contratto per un rapporto di lavoro a tempo determinato della durata di un mese, ma di fatto Tizio - in accordo con l’altra parte - non si presenta mai in azienda per lavorare. Con la scadenza del contratto, tuttavia, Tizio potrà chiedere la Naspi, la quale non gli verrà riconosciuta solamente per 2 settimane (ossia la metà dell’ultimo mese di lavoro), ma per la durata massima di 24 mesi visto che si terrà conto anche del precedente rapporto di lavoro.
C’è quindi un notevole vantaggio per il lavoratore, il quale però deve sapere che mettendo in atto tale procedura si è reso protagonista di un illecito, al pari dell’azienda che gli ha fatto il favore di assumerlo.
Falsa assunzione per prendere la Naspi: cosa si rischia?
Partiamo dal datore di lavoro che ha deciso di aiutare colui che vuole richiedere la Naspi ma non può farlo in quanto si è dimesso dall’ultimo rapporto di lavoro. Niente ovviamente vieta di assumere il dipendente per qualche settimana e poi impiegarlo fattivamente in azienda, ma il problema sussiste quando l’unico scopo dell’assunzione è quello di permettere al dipendente di acquisire il diritto alla Naspi.
Cosa rischia l’azienda in caso di assunzione fittizia? Ad esempio, questa può essere accusata di falsità ideologica commessa dal privato in atto pubblico, reato sanzionato ai sensi dell’articolo 483 del codice penale con la reclusione fino a 2 anni, e comunque non inferiore ai 3 mesi in caso di false attestazioni rese in atti dello stato civile.
Dello stesso reato può essere accusato e condannato anche il lavoratore, senza dimenticare poi l’accusa per truffa ai danni dell’Inps. Nel dettaglio, il reato di truffa (articolo 640 del Codice penale) stabilisce che quando il fatto “è commesso a danno dello Stato o di un altro ente pubblico o dell’Unione europea” - come appunto nei confronti dell’Inps - la pena è della reclusione da 1 a 5 anni più una multa che va da un minimo di 309 a un massimo di 1.549 euro.
In caso si finga un’assunzione per dar luogo al diritto di Naspi, dunque, si commettono una serie di reati sia nella posizione dell’azienda che in quella del lavoratore.
Ci sono poi situazioni limite, come quelle scoperte dalla Guardia di Finanza in questi anni riguardanti delle vere e proprie organizzazioni nate appositamente per truffare l’Inps e far prendere la Naspi a quante più persone possibili, ad esempio facendoli assumere da aziende fittizie. In questo caso ovviamente le ipotesi di reato aumentano, in quanto alle suddette si aggiungono anche l’associazione a delinquere e la falsità materiale aggravata e continuata.
In ogni caso, comunque, il consiglio è di non rendersi protagonisti di un tale modus operandi che tuttavia resta molto diffuso nel nostro Paese.
© RIPRODUZIONE RISERVATA