Anziché dimettersi ci sono lavoratori che provocano il licenziamento così da mantenere il diritto alla Naspi. Ecco come fanno e cosa rischiano.
“Mai dimettersi” (salvo il caso in cui sussista la giusta causa) se non si vuole perdere il diritto all’indennità di disoccupazione Naspi. Un vero e proprio diktat tra tutti quei lavoratori che per un motivo o per un altro vorrebbero lasciare l’impiego attuale ma non trovano un altro datore di lavoro pronto ad assumerli e per questo motivo vogliono cogliere l’occasione offerta dalla Naspi, assicurandosi così un’entrata mensile alternativa (seppur più bassa) garantita nel migliore dei casi per 24 mesi.
Ecco quindi che viene messa in atto una strategia alternativa: provocare il licenziamento. D’altronde, anche laddove l’interruzione unilaterale del contratto da parte del datore di lavoro sia motivata da giusta causa, il dipendente mantiene comunque il diritto alla Naspi.
Un cavillo che di fatto mette i datori di lavoro in una posizione di debolezza, in quanto ci sono dipendenti pronti a tutto pur di lasciare il lavoro senza ricorrere alle dimissioni.
Tant’è che il governo sta lavorando a una stretta contro i furbetti della Naspi, concentrandosi perlopiù sulle assenze ingiustificate. Nel dettaglio, in Parlamento è in esame la possibilità che dopo 5 giorni di assenza ingiustificata scattino in automatico le dimissioni del lavoratore, precludendo così l’accesso alla disoccupazione.
Ma potrebbe non essere sufficiente, perché come vedremo di seguito i modi in cui un lavoratore può farsi licenziare sono diversi. Per quanto è bene sottolineare che provocare il licenziamento non è legittimo con il rischio che tali comportamenti possano essere contestati nelle sedi opportune con gravi conseguenze sanzionatorie.
Vediamo, quindi, quali sono i rischi del farsi licenziare (anche in accordo con il datore di lavoro) per avere così accesso alla Naspi, e perché in ogni caso è sempre opportuno stare alla larga da determinate soluzioni.
Come farsi licenziare
Prima di scendere nei dettagli della questione, bisogna fare chiarezza sulla differenza che c’è tra licenziamento e dimissioni:
- le dimissioni, ovvero l’interruzione volontaria da parte del lavoratore di abbandonare un certo luogo di lavoro;
- il licenziamento, quando la scelta di interrompere il rapporto lavorativo - per giusta causa, motivo oggettivo o soggettivo - è del datore.
Quindi “farsi licenziare”, a ben vedere, è un’espressione impropria, in quanto indica un accordo fraudolento tra azienda e dipendente per interrompere il lavoro e simulare un licenziamento vero e proprio.
Fortunatamente raramente i datori di lavoro acconsentono a prendere parte a quella che è una vera e propria truffa ai danni dello Stato (con sanzione amministrativa che va da 5.164 a 25.822 euro ai sensi dell’articolo 316-ter del Codice Penale), rifiutando di far figurare le dimissioni del dipendente come un licenziamento. Anche perché in tal caso l’azienda dovrebbe anche farsi carico del cosiddetto ticket di licenziamento.
Per questo motivo sono più i casi in cui sono i dipendenti a provocare il licenziamento, mettendo in atto una serie di comportamenti che non lasciano alternativa all’azienda. Purtroppo esistono diversi escamotage che permettono al dipendente di farsi licenziare ottenendo la Naspi senza l’accordo del datore di lavoro.
È il caso del licenziamento disciplinare per giusta causa o giustificato motivo soggettivo, ovvero quando il dipendente pone in essere dei comportamenti che rompono per sempre il vincolo di fiducia con il datore.
Ad esempio assenze reiterate senza motivo costringono l’azienda a procedere al licenziamento. Il risultato? Il datore, anche se non era sua intenzione, sarà costretto a licenziare con un doppio danno: da un lato la perdita di un impiegato, dall’altro l’obbligo di versare all’Inps il suddetto ticket di licenziamento. Il lavoratore, invece, riceverà la Naspi, dato che agli atti questa risulta come una interruzione involontaria, e non come dimissioni.
Ma non è il solo comportamento possibile. Ci sono dipendenti, infatti, che si presentano al lavoro ma smettono di osservare le direttive aziendali, lavorando svogliatamente riducendo notevolmente la produttività. Con lo svantaggio che il datore di lavoro dovrà prima o poi cedere al ricatto, al fine di evitare di pagare uno stipendio inutilmente.
C’è poi da considerare che tenere in servizio un lavoratore svogliato, e spesso irrispettoso, ha un impatto anche sul clima aziendale con possibili conseguenze tra gli altri colleghi. Ragion per cui il licenziamento sembra essere l’unica strada da intraprendere.
Cosa rischia chi si fa licenziare per prendere la Naspi
Nell’attesa che il governo intervenga per porre un freno almeno su coloro che non si presentano più al lavoro così da farsi licenziare e prendere la disoccupazione (ricordiamo che è in valutazione la possibilità che alla quinta assenza ingiustificata scattino le dimissioni), è bene sottolineare che questi comportamenti oltre a violare qualsiasi principio etico sono anche illegali.
Lo conferma una sentenza del Tribunale di Udine (la n. 106 del 2020), con la quale i giudici hanno considerato un lavoratore che con assenze continue non giustificate ha costretto il datore di lavoro a procedere alla risoluzione del rapporto per giusta causa come un dimissionario a “voce”, obbligandolo alla restituzione del ticket di licenziamento (che nel 2024 può essere di circa 1.935,84 euro) versato dall’azienda.
Quindi, laddove il datore di lavoro dovesse fare ricorso contro l’atteggiamento del dipendente, provando che ha messo in campo azioni per indurre il licenziamento e godere della Naspi, un giudice potrebbe ribaltare tutto ritenendo che si sia trattato di dimissioni. Con la conseguenza che oltre a dover rinunciare alla Naspi bisognerà farsi carico anche dei costi del ticket di licenziamento.
Detto ciò, è assolutamente sconsigliato mettere in atto una condotta fraudolenta tale da indurre il licenziamento. Semmai, qualora ne ricorrano le condizioni, è possibile rassegnare le dimissioni per giusta causa (facendo attenzione a seguire la procedura corretta), in modo da non perdere il diritto alla Naspi.
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