Ecco cosa c’è da sapere sul furto di calore e sulla dispersione termica in condominio. Scopriamo se è legale non accendere i termosifoni e come i vicini possono tutelarsi.
Vuoi tenere i riscaldamenti spenti per risparmiare, magari perché l’appartamento è poco utilizzato, ma il vicino si lamenta perché i muri restano freddi e il suo calore si disperde. In effetti, se il vicino non utilizza il riscaldamento può verificarsi un aumento della spesa per i termosifoni, perché per ottenere la stessa temperatura è necessaria più energia termica, non godendo di quella proveniente dagli altri. Si parla in proposito di furto di calore, termine che spesso preoccupa i condomini. Vuol dire che non è legale non accendere i termosifoni in condominio? Ecco cosa prevede la legge.
Cos’è il furto di calore?
Si definisce come furto di calore quel meccanismo per il quale un appartamento usufruisce del riscaldamento in uso nei locali adiacenti, per effetto della propagazione termica. Si parla di “furto” perché un locale dei due è più freddo e di conseguenza non contribuisce al riscaldamento dell’altro.
Il furto di calore è reato?
Il furto di calore non è un reato. Il termine viene usato colloquialmente e in modo improprio, per far intendere appunto che una parte usufruisce dal calore altrui. Non si tratta di un vero e proprio furto, anche perché di norma questa parte di energia termica viene pagata. È importante sottolineare che il consumo involontario è anche incolpevole, nel senso che non può essere attribuita alcuna responsabilità al condomino che trae calore da un altro appartamento. Proprio per evitare fraintendimenti e liti di vicinato, gli esperti segnalano che viene preferito il termine «cessione gratuita».
Termosifoni spenti e e spese di riscaldamento
Chi spegne i termosifoni è spesso convinto di poter così evitare qualsiasi spesa relativa al riscaldamento domestico, ma si tratta di una convinzione errata. Anche la Corte di Cassazione ha ribadito che i condomini sono obbligati a pagare tutte le spese involontarie relative al riscaldamento, a meno che non siano esonerati dall’assemblea condominiale.
Si tratta dei consumi involontari, dovuti al condominio anche da chi non usa i termosifoni o da chi si è distaccato dall’impianto termico centralizzato. La ripartizione delle spese non è completamente rimessa alla discrezione dell’assemblea, infatti quest’ultima è tenuta a provvedere entro i limiti imposti dalla legge.
Con l’entrata in vigore del decreto legislativo n. 73/2020 la quota fissa di riscaldamento deve essere almeno del 50% e deve essere suddivisa tra i condomini con criteri equi, per esempio a seconda dei millesimi, dei metri quadri, dei metri cubi oppure delle potenze installate. Il decreto ha eliminato ogni riferimento alla norma UNI 10200, che può essere applicata su base volontaria (come spesso accade) dal tecnico che indica la più corretta suddivisione delle spese di consumo.
Scegliendo di seguire la norma UNI 10200 resta il limite minimo del 50% per i consumi volontari, ma devono essere seguite le ulteriori prescrizioni. L’assemblea condominiale ha in ogni caso la facoltà di scegliere il criterio di ripartizione dei consumi involontari, purché non sia di tipo forfettario, bensì affidato a una diagnosi energetica.
È legale non accendere i termosifoni?
Quando un condomino non utilizza i termosifoni usufruisce inevitabilmente del riscaldamento acceso negli appartamenti adiacenti. Il risultato è che chi ha i termosifoni spenti usufruisce comunque di un certo calore (almeno potenzialmente), mentre coloro che hanno il riscaldamento acceso potrebbero lamentare un minore aumento della temperatura, per effetto della dispersione di calore.
Per questo motivo tanti condomini si lamentano dei vicini con il riscaldamento spento, sostenendo di subire spese maggiori a causa loro. Non è un ragionamento del tutto errato, ma non si può nemmeno obbligare i vicini a usare il riscaldamento. In altre parole, è legale non accendere i termosifoni e nessuno può obbligare a fare diversamente.
Come anticipato, i consumi involontari vengono comunque pagati, anche se non direttamente al condomino che usa l’impianto di riscaldamento. Quest’ultimo non può pretendere alcun corrispettivo né una partecipazione alle spese, dovendo piuttosto concentrarsi sull’origine del problema: l’insufficiente isolamento termico.
Se la dispersione è eccessiva al punto di compromettere un adeguato riscaldamento, innescando un sensibile aumento della spesa, è inevitabilmente necessario un intervento per limitare lo spargimento di calore. Potrebbero quindi essere dovute delle opere di manutenzione a carico del condominio oppure del condomino stesso. Chi abita in affitto deve invece fare riferimento al proprietario di casa, di norma obbligato a occuparsi di queste opere.
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