La guerra in Ucraina rischia di inasprire la crisi alimentare nelle zone più povere del mondo, come spiega in un’intervista a Money.it Emanuela Del Re, rappresentante speciale dell’Ue per il Sahel.
A pagare le conseguenze dell’invasione russa dell’Ucraina non sono solo i soldati e i civili di Kiev, ma anche le popolazioni di altri Paesi che vedono acuirsi la crisi alimentare a causa, soprattutto, della mancanza di materie prime scaturita dalla guerra. L’esempio più lampante è quello dei Paesi del Sahel, che si trovano di fronte a una crisi alimentare che può avere conseguenze drammatiche per decine di milioni di persone.
Non solo, perché in questa zona dell’Africa sta assumendo un’influenza sempre più importante la Russia, anche attraverso la presenza dei mercenari di Wagner, come sta avvenendo in Mali. E proprio il Mali, nelle scorse ore, ha annunciato il suo ritiro dal G5 Sahel, la forza anti-jihadista congiunta sostenuta dalla Francia.
A margine di un incontro all’Associazione stampa estera a Roma, Money.it ha fatto il punto della situazione nel Sahel, a partire dalla crisi alimentare, con Emanuela Del Re, rappresentante speciale dell’Ue per il Sahel ed ex viceministra degli Esteri.
La guerra in Ucraina ha acuito la crisi alimentare che affligge il Sahel: siamo davvero di fronte alla peggior crisi alimentare del nuovo millennio?
L’Ue è profondamente consapevole della gravissima crisi che conseguirà dalla guerra in Ucraina che sta avendo degli effetti molto ampi anche su regioni apparentemente lontane come il Sahel. Per il Sahel la guerra si aggiunge a una situazione già molto difficile, si tratta di paesi in cui la questione alimentare era già in crisi per eventi climatici come inondazioni e siccità, con difficoltà per la conservazione e la trasformazione degli alimenti. Con la guerra possiamo parlare di una serie di elementi: la riduzione della produzione agricola, l’inflazione economica, la persistenza di barriere doganali. Tutto questo va a incidere sulla sicurezza umana, per non parlare delle filiere alimentari. È chiaro che ci sarà un problema molto serio: quest’anno più di 31 milioni di persone avranno bisogno di assistenza alimentare nel Sahel e la guerra in Ucraina non farà che peggiorare la situazione, già di per sé catastrofica. La situazione alimentare nel Sahel si è aggravata enormemente negli ultimi tempi proprio perché il problema d’insicurezza alimentare vede una popolazione che dal 2020 al 2022 ha raddoppiato il numero di persone a rischio di crisi alimentare.
L’Ue può intervenire concretamente per aiutare queste popolazioni?
L’Ue è estremamente consapevole, tanto che di recente è stata fatta una conferenza a Parigi con un appello forte ai donatori per intervenire sul piano economico e permettere di aumentare la capacità d’intervento. È una situazione drammaticissima, questo è stato un primo passo e bisognerà continuare a insistere.
I rapporti di alcuni paesi come il Mali con la Russia e la presenza dei mercenari di Wagner nel Sahel vi preoccupano?
Siamo preoccupati perché le armi che in questo momento sta mettendo in campo il gruppo militare Wagner sono subdole, per esempio stanno diffondendo un sistema di disinformazione che tende a minare alle basi la credibilità dell’Ue. Questo è estremamente grave e infatti l’Ue è già attiva per creare degli interventi contro la disinformazione e contrastare questa politica e quest’azione meschina. I rischi che derivano dalla presenza di mercenari sono numerosi e lo abbiamo già sperimentato nella Repubblica Centrafricana dove ci sono state enormi violazioni dei diritti umani dalla società Wagner. La nostra percezione deriva anche da esperienze pregresse, con stupri e uccisioni arbitrarie. E questo si sta iniziando a verificare anche in Mali. La presenza di Wagner è una linea rossa che non poteva essere superata e invece, purtroppo, è stata superata.
Con la fine delle missioni come Takuba, nonostante l’aumento delle forze militari annunciato dalla Germania, l’Ue rischia di perdere influenza in Mali e consegnare sempre più il paese alla Russia?
L’Ue ha deciso questo ritiro delle truppe come conseguenze di una crisi estremamente profonda. Noi abbiamo utilizzato la formula per cui manteniamo una forte fermezza sui principi, per esempio non accettando la presenza di Wagner, ma non chiudendo tutte le porte, sperando di trovare una formula diplomatica. Per il momento siamo nell’acme di questa crisi e le decisioni sono state consequenziali, tuttavia l’Ue non abbandona il popolo maliano garantendo aiuti umanitari. Allo stesso tempo c’è un’altra partita che è la missione delle Nazioni Unite Minusma, che verrà votata a breve, per decidere la presenza o non presenza nel territorio maliano e la questione si rivela complessa perché, per esempio, i tedeschi hanno già deciso di aumentare la presenza da 1.100 uomini a 1.400. Il che vuol dire che hanno mandato un segnale politico molto forte per mantenere una presenza politica nel Paese. La persistenza di Wagner sul territorio complica le cose e bisognerà trovare una soluzione più adeguata all’importanza del sostegno che l’Ue spera di poter garantire ancora al popolo maliano.
Un paese che può ricoprire un ruolo chiave nel Sahel è la Mauritania, dove esiste una maggiore stabilità: l’Ue punta sulla sua centralità?
L’Ue ha delle interlocuzioni costanti con tutti i Paesi del Sahel. E questo permette non solo di comprendere le prospettive dal punto di vista del Sahel, ma anche di portare la nostra esperienza e la nostra volontà di contribuire in maniera diretta con Paesi che hanno un dialogo aperto con noi, come la Mauritania. La Mauritania ha trovato delle formule, per esempio per raggiungere la stabilità interna e la sicurezza: per noi si tratta di un interlocutore interessante che, se lo desidera, può intervenire con la sua autorevolezza di paese che fa parte dell’area e ha una certa esperienza. Poi le dinamiche interne al Sahel sono molto vivaci, con un continuo dialogo tra i paesi interni: parliamo di una situazione per nulla statica. Per l’Ue è importante restare il partner naturale con i suoi principi democratici e con gli investimenti sul piano della sicurezza e dello sviluppo e degli aiuti umanitari.
Qual è il futuro del Sahel: teme che uno scenario come quello del Mali possa ripetersi anche in altri paesi come il Niger?
Per quanto riguarda il Mali è difficile fare previsioni, anche se ho sentito da più parti degli accenti di ottimismo che un pochino mi rassicurano. Anche se le ultime notizie non sono positive. Però il Sahel è grande e ci sono tanti altri Paesi, gli altri quattro sono estremamente significativi, ed è estremamente interconnesso con i Paesi del Maghreb o del Golfo di Guinea. Non possiamo immaginare delle prospettive a partire solamente dal Mali, anche se impone delle riflessioni molto forti. Però ci sono anche tante altre circostanze, per esempio il Ciad sta attraversando un periodo di transizione, ha portato avanti un interessante processo di conciliazione interna al paese: lì stanno succedendo cose diverse dal Mali. Lo stesso in Niger, che richiede la massima attenzione da parte dell’Ue, perché ha dei progetti di sviluppo importanti, il presidente vuole investire molto sul piano dell’educazione, così come sulla questione di sicurezza, tanto che si pensa che la missione Takuba si sposterà in Niger e il Parlamento nigerino ha già votato a favore.
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