Tra dilemmi morali e scarsezza di visione, l’Europa non ha semplicemente una posizione. E questo danneggia ogni sforzo per la pace perché sdogana le tesi dei falchi verso la guerra totale.
C’è un mondo che si mette in moto sulla crisi israelo-palestinese accelerata dagli attacchi di Hamas di sabato 7 ottobre. Un mondo che sta puntando, nel breve periodo, a due obiettivi: circoscrivere la crisi e farne un fattore locale. E sul medio lungo periodo a guardare alla brutale guerra da 3mila morti solo nei primi sei giorni di scontri come al non plus ultra della questione mediorientale, a una sfida strutturata e strategica volta a risolvere il tema annoso delle rivalità e delle trincee di odio tra potenze regionali.
Circoscrivere il conflitto: su Israele-Gaza le potenze condividono l’obiettivo
I tre “imperi”, Cina, Russia e Stati Uniti sono concordanti su questo dato e nessuna delle tre maggiori superpotenze, pur agendo autonomamente, sembra voler dare un assegno in bianco a Benjamin Netanyahu. Vladimir Putin ha dato la colpa per l’eruzione di violenza di Hamas al fallimento di una strategia dell’Occidente collettivo per definire la Palestina come un attore minoritario sul piano internazionale. “Penso che molte persone saranno d’accordo con me che questo è un vivido esempio del fallimento della politica degli Stati Uniti in Medio Oriente”, ha detto Putin. La manovra di Hamas e la risposta di Netanyahu creano un contesto in cui Washington è obbligata a tornare a occuparsi di Medio Oriente, e infatti Tony Blinken, segretario di Stato Usa, ha saggiamente perimetrato nelle sue dichiarazioni i modi e tempi del sostegno Usa alla risposta israeliana: sì al rispetto della legge di guerra, no a rappresaglie indiscriminate. [...]
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