Trump si era forse illuso che fossero arbitri imparziali come erano stati i due della CNN durante il confronto con Biden a fine giugno.
Miracolo a rovescio, di Trump. Nel dibattito televisivo con Kamala Harris del 10 settembre è riuscito in una impresa non da poco. Assistere dimesso alla performance di una vicepresidente in carica, brillante abbastanza da infliggergli una sconfitta non equivoca: secondo i sondaggi a caldo del campione di telespettatori della CNN, il 73% ha detto che la Democratica ha vinto, e solo il 37% che ha vinto Trump. Quasi l’esatto opposto dell’esito della prestazione del 27 giugno di Donald contro il decrepito Joe, che non sopravvisse alla umiliazione. Eppure Harris, nei quasi quattro anni del suo mandato, aveva avuto prima della nomination un ranking di approvazione storicamente molto basso, e sotto il livello dello stesso impopolare presidente Biden.
Ma non è stata soltanto, lunedì in Pennsylvania, una lezione di dialettica, di mera capacità di gestire la serata sul piano del linguaggio del corpo. Lei, articolata lessicalmente e preparatissima nel ripetere i triti passaggi critici imparati a memoria, e nel modulare le frasi con sorrisi e ammiccamenti, limitando a qualche singola smorfia un certo nervosismo represso che si è via via sciolto nella sicurezza crescente, spavalda. Lui, cupo dall’inizio alla fine, evidentemente istruito a non lasciarsi andare mai a tirate offensive verso una signora, per di più di colore: il risultato è stato una prestazione dimessa, completamente priva del sale dell’ispirazione che un leader deve saper infondere. Sempre, ma soprattutto nel primo e (forse) unico confronto pubblico con l’avversario.
Comunque, il paradosso vero, bruciante e frustrante per i suoi sostenitori, è quest’altro. Vedere che Harris è riuscita a passare come la sfidante, e non come la legittima, ovvia, inevitabile numero due di Biden, la vicepresidente pienamente corresponsabile delle peggiori decisioni della amministrazione democratica. Due, clamorose, sono entrate nella storia del Paese. La prima è la pagina nera scritta nel 2021 a Kabul, con i 13 soldati USA uccisi e i miliardi di armi ed equipaggiamenti lasciati ai Talebani nella fuga dall’Afghanistan, la più disastrosa figura dell’esercito dal Vietnam. La seconda, i dieci milioni complessivi di migranti clandestini entrati dal gennaio del 2021 grazie alle misure prese da Biden con una serie di ordini esecutivi per smantellare le politiche di chiusura di Trump, con le quali aveva ridotto di molto gli arrivi tra il 2017 e il 2020. Kamala, per di più, era stata nominata la zarina del confine meridionale, incaricata di risolvere quella crisi. [...]
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