von der Leyen sta per essere nominata di nuovo a capo della Commissione Ue, ma per alcuni l’accordo sul suo nome mostra quanto l’Unione sia antidemocratica e poco trasparente.
Le trattative per formare il “Governo Ue” sono in corso, tra critiche, malcontenti e polemiche sul metodo, per alcuni non proprio democratico.
Molto probabilmente, Ursula von der Leyen sarà nuovamente nominata capo della Commissione, il primo ministro estone Kaja Kallas rappresentante per gli affari esteri e l’ex primo ministro portoghese António Costa presidente del Consiglio.
Tutto risolto? Non proprio, perché mentre da diverse parti si elevano voci di dissenso - in primis dall’Italia con una agguerrita Giorgia Meloni insoddisfatta della considerazione data al suo partito nel Parlamento Ue e alla sua stessa figura politica all’interno dell’Unione - secondo alcuni osservatori gli ultimi sviluppi nell’Unione europea gettano ancora una volta una luce critica sui metodi antidemocratici utilizzati per distribuire le posizioni di vertice.
Un’analisi di un quotidiano tedesco mette proprio nel mirino la mancanza di democrazia europea. Cosa suggerisce questa riflessione sulle dinamiche politiche e istituzionali Ue? Siamo davvero dinanzi a una deriva antidemocratica?
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Ue, cosa c’è di antidemocratico nella conferma di von der Leyen?
Raphael Schmeller, come spiega su Berliner Zeitung non ha dubbi: l’accordo per le nomine Ue ha davvero poco di democratico.
L’intesa è stata negoziata da un gruppo di sei persone, composto dal cancelliere Olaf Scholz, dal presidente francese Emmanuel Macron, dal primo ministro polacco Donald Tusk, dal primo ministro spagnolo Pedro Sánchez, dal primo ministro olandese Mark Rutte e dal primo ministro greco Kyriakos Mitsotakis.
Questo gruppo ha deciso “a porte chiuse” la distribuzione delle posizioni di vertice, senza coinvolgere gli altri 27 Stati membri dell’Ue, sottolinea Schmeller. E aggiunge che ciò solleva la questione del perché un gruppo così piccolo dovrebbe essere così cruciale quando tutti i Paesi dell’UE sono rappresentati al tavolo.
La risposta, in realtà, potrebbe essere fin troppo semplice: è la “legge” delle trattative politiche e partitiche di chi rappresenta la maggioranza parlamentaare, rispettata più o meno in ogni tornata elettorale. Lo sottolinea lo stesso Schmeller.
In primo luogo, i sei rappresentano le tre principali fazioni nel Parlamento europeo, cioè conservatori, socialdemocratici e liberali. In secondo luogo, ci sono gli “europeisti” che vogliono salvare l’Ue dai loro avversari. In terzo luogo, insieme hanno abbastanza sostegno al vertice Ue per raggiungere la maggioranza qualificata necessaria, cioè almeno 15 Stati membri che rappresentino il 65% della popolazione dell’UE. E in quarto luogo, il caos come quello del 2019 dovrebbe essere evitato.
I malumori non mancano e non sono nemmeno troppo velati. Il primo ministro italiano Giorgia Meloni, il cui gruppo di destra ECR è diventato la terza forza più grande al Parlamento europeo, è stato escluso dai colloqui. Lei parla di “oligarchia” e chiede che almeno i voti ottenuti dal suo gruppo siano presi in considerazione in modo diverso. L’Italia chiede una posizione di vicepresidente nella Commissione con un portafoglio importante – ad esempio quello sulla migrazione.
L’accordo antidemocratico sarà ribaltato?
Con queste premesse, l’esito delle nomine in realtà non è scontato e potrebbe svelare altri meccanismi poco trasparenti e democratici.
Dopo la nomina al vertice, tocca al Parlamento Ue eleggere il presidente della Commissione. Per questo von der Leyen ha bisogno della maggioranza assoluta di almeno 361 dei 720 deputati. PPE, socialisti e i liberali sono d’accordo, ma nel voto segreto sono prevedibili i dissidenti. Possono essercene al massimo 38 su 399, altrimenti il politico della CDU ha fallito. Resta quindi interessante vedere se il Parlamento riuscirà a ribaltare questo accordo antidemocratico.
Nel complesso, ciò dimostra ancora una volta quanto siano poco democratici e non trasparenti i processi decisionali nell’Ue secondo Schmeller. Resta da vedere se il Parlamento europeo avrà il coraggio di fermare questo accordo e dare così l’esempio per una maggiore democrazia nell’Ue.
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