Un datore di lavoro potrebbe domandarsi se è sempre tenuto ad applicare un Ccnl ai suoi dipendenti o se, invece, può farne a meno. La risposta è meno scontata di quanto si creda.
I contratti collettivi nazionali del lavoro, abbreviati con la sigla Ccnl, costituiscono fonte di riferimento per la generalità dei datori di lavoro. Infatti, chi vuole avviare una nuova attività economica certamente si domanderà di che cosa deve tener conto per assumere dei dipendenti, ovvero si chiederà qual è il costo del lavoro. Quest’ultimo andrà sostenuto dall’azienda per garantire ai lavoratori tutti i loro diritti come - ad esempio - contributi, retribuzione, TFR, malattia, infortunio ecc. Ecco perché il testo di un Ccnl si rivela di grande orientamento.
Ma è pur vero che districarsi nel vastissimo ambito dei contratti collettivi non è operazione facile, se teniamo conto dell’enorme mole di Ccnl sottoscritti in Italia. Certamente ciò non semplifica la vita di un qualsiasi imprenditore, che anzi si trova nel bel mezzo di una giungla di norme e di regole non sempre di facile interpretazione.
Proprio per questo la domanda che segue, sorge spontanea: può l’azienda o datore di lavoro liberamente scegliere di non applicare alcun contratto collettivo nazionale o Ccnl? In altre parole, se non lo fa vi sono conseguenze a riguardo? Risponderemo di seguito, nel corso di questo articolo, ma prima ti chiariremo qual è l’importanza e l’utilità di un Ccnl. I dettagli.
L’azienda è sempre obbligata ad applicare un Ccnl ai propri lavoratori?
Contratti collettivi nazionali: che cosa sono in breve e dove trovarli
Probabilmente già moltissimi datori di lavoro e lavoratori dipendenti hanno già preso in mano e letto almeno un contratto di questo tipo, ma giova ricordare sinteticamente di che cosa stiamo parlando. I contratti collettivi nazionali di lavoro altro non sono che testi sottoscritti a livello nazionale tra i sindacati dei lavoratori e i rappresentanti dei datori di lavoro.
Si contano nel nostro paese centinaia di contratti collettivi nazionali diversi - e decine per singolo settore come ad es. la metalmeccanica - depositati presso il Cnel. Non a caso, nel sito web del Consiglio Nazionale dell’Economia e Lavoro si trova scritto che l’archivio nazionale dei contratti collettivi di lavoro, peraltro previsto dall’art. 17 n. 936 del 1986, rappresenta la fonte ufficiale sulla contrattazione collettiva nazionale. Grazie ad esso sono accessibili al pubblico i testi autentici dei contratti collettivi nazionali di lavoro sottoscritti in Italia. Anzi, le parti sociali che firmano un Ccnl sono tenute a depositarne il testo al Cnel.
Perciò se vuoi saperne di più sui singoli testi dei contratti collettivi e su come sono strutturati, ricorda di consultare questo archivio web, che raccoglie gli accordi di rinnovo e i nuovi contratti in una sezione ad hoc.
Come accennato, i Ccnl esistenti nel nostro paese sono moltissimi e questo perché essi disciplinano ciascun settore di attività e numerosi aspetti dei rapporti di lavoro. Il datore di lavoro che se ne avvale, dovrà sempre fare riferimento alle loro regole - insieme a quanto previsto dalla legge - per capire come comportarsi nei vari aspetti del rapporto di lavoro con un suo dipendente (pensiamo ad es. alle disposizioni sulle ferie o a quelle sull’orario di lavoro o sui permessi).
A che cosa servono i Ccnl? Le parti essenziali del testo e due importanti effetti
I contratti collettivi hanno la precisa funzione di regolare i trattamenti economici e normativi minimi comuni per tutti i lavoratori di un certo settore (indipendentemente da quale sia il loro impiego), e ad essi si conformano i contratti individuali con ogni singolo dipendente. Essenziale tener conto di questo in relazione alla domanda iniziale, a cui tra poco risponderemo.
In estrema sintesi, i contratti collettivi nazionali o Ccnl includono fondamentalmente due parti:
- parte normativa, che include le tabelle retributive e le regole basilari del rapporto di lavoro (ad es. su ferie, permessi, ore di straordinario ecc.);
- parte obbligatoria o economica, la quale invece comprende le distinte regole che andranno a disciplinare i futuri rapporti tra le controparti collettive del contratto, e ci riferiamo ai sindacati e alle associazioni di imprenditori che lo hanno sottoscritto.
Un altro importante aspetto è il seguente: dal punto di vista tecnico un Ccnl si pone - nell’ambito della gerarchia delle fonti del diritto del lavoro - a metà strada tra la legge e il contratto individuale di lavoro - firmato dal singolo dipendente con l’azienda per l’assunzione.
Proprio per questo qualsiasi datore di lavoro, che si trova ad applicare un Ccnl, deve tener conto del fatto che la citata collocazione produce i due effetti che seguono:
- i contratti collettivi possono derogare alla legge esclusivamente in senso migliorativo, tranne alcuni casi particolari previsti dalla legge. Pensiamo ad es. alla legge n. 223 del 1991, che permette alla contrattazione collettiva, nelle circostanze di gravi crisi aziendali, di varcare il divieto di demansionamento di cui all’art. 2103 Codice Civile, come alternativa ai licenziamenti collettivi;
- i contratti individuali possono derogare al Ccnl di categoria sempre e solo in meglio, e di ciò si trova traccia nell’art. 2077 del Codice Civile.
Facendo un esempio pratico, se il proprio Ccnl di categoria indica che la giornata lavorativa deve essere di 8 ore, il contratto individuale non potrà allungarla a 9 o addirittura 10, ma potrà però accorciarla a 7.
Un’azienda può scegliere di non applicare alcun Ccnl?
Veniamo alla domanda clou. Ricorda che ogni Ccnl ha validità su tutto il territorio del nostro paese, ma non ha valore di legge e, di conseguenza, vale soltanto per le aziende che lo hanno firmato. Vero è che quando un Ccnl viene applicato, va a sommarsi ad un contesto normativo già di per sé assai articolato.
Non bisogna infatti dimenticare che il diritto del lavoro implica in ogni caso l’applicazione di una serie di norme in tema di rapporto di lavoro, che proteggono i diritti fondamentali del lavoratore. Pensiamo alla Costituzione e al Codice Civile in primis, ma anche alle numerose leggi come la notissima 104 oppure il Testo unico sulla sicurezza del 2008.
Ebbene ricorda altresì che la scelta del contratto collettivo nazionale di lavoro da applicare ai propri dipendenti è pur sempre un passaggio chiave, poiché il costo della manodopera è legato molto al contratto di lavoro applicato. Proprio il contratto collettivo è infatti il testo che fissa tutta una seria di diritti e di tutele a favore del lavoratore, ed essi ovviamente costituiscono una spesa per il datore.
Ma siccome un Ccnl non contiene disposizioni di legge, per questo motivo non può dirsi obbligatorio applicarne uno alla propria azienda. Attenzione allora a questa distinzione:
- il Ccnl è obbligatorio soltanto in alcuni casi specifici ovvero deve essere applicato solo se il datore di lavoro è iscritto a un’associazione di datori, come Confindustria o Confcommercio. Questo perché il datore di lavoro, iscrivendosi all’associazione, aderisce in via automatica al relativo Ccnl, obbligandosi ad applicarlo a tutti i suoi lavoratori. In Italia vige infatti il principio di libertà sindacale, per il quale un lavoratore o un datore di lavoro possono iscriversi, o meno, ad un’associazione sindacale;
- se invece il datore di lavoro non è iscritto a un’associazione, sarà libero di applicare o non applicare un Ccnl. E ciò vale anche se il testo ha efficacia a livello nazionale.
Tuttavia l’ultimo punto vale con le precisazioni che seguono.
Minimi retributivi obbligatori indipendentemente dall’applicazione di un Ccnl
Abbiamo appena detto che il datore di lavoro non è obbligato ad applicare un certo contratto collettivo, tuttavia c’è un punto che chiunque intenda assumere personale deve sempre ricordare: l’azienda deve sempre adeguarsi alle norme in vigore in materia di diritto del lavoro e soprattutto far valere i minimi retributivi fissati dal Ccnl di categoria. Non ci sono dubbi a riguardo: l’obbligo in oggetto scatta indipendentemente dall’obbligatorietà del testo.
Ed il motivo è molto semplice: in base all’art. 36 della Costituzione, il lavoratore ha il diritto di ricevere una retribuzione sufficiente e proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro. Ecco perché un datore di lavoro, pur non iscritto ad un’associazione firmataria di un contratto collettivo, può assumere un lavoratore con un contratto di lavoro a tempo indeterminato, e potrà liberamente farlo senza applicare un Ccnl, ma dovrà comunque osservare i minimi retributivi per il settore di attività e la qualifica del dipendente.
Se non lo farà, il datore di lavoro potrà subire l’iniziativa del lavoratore, il quale potrà fargli causa per aver conseguito uno stipendio più basso di quello fissato dalla contrattazione collettiva. Il dipendente potrà così ottenere le differenze retributive, a cui ha diritto in base al minimo contrattuale di cui al Ccnl di riferimento del settore nel quale opera l’azienda.
© RIPRODUZIONE RISERVATA