In Italia si applicano regole di tutela in tema di licenziamenti nei confronti dei lavoratori dipendenti. I collaboratori esterni possono essere licenziati? Facciamo chiarezza.
È noto che le aziende non di rado scelgono la via dei rapporti ’a contratto’ con i cosiddetti collaboratori esterni. Ciò comporta per esse un risparmio in termini di costi aziendali legati alla gestione del personale, siccome in questi casi l’azienda non deve preoccuparsi della gestione di una serie di adempimenti amministrativi e fiscali, tipici del lavoro subordinato.
Ebbene, pensiamo al caso classico di un’azienda che si avvale delle prestazioni di un collaboratore esterno, il cui contratto viene rinnovato più volte nel tempo: in queste circostanze il collaboratore potrebbe chiedere all’azienda committente di assumerlo con un contratto di lavoro subordinato, perché ormai convinto di essere considerabile alla pari della generalità dei dipendenti dell’azienda stessa. Che succede se in immediata risposta a questa richiesta, il committente recede e pone fine al rapporto in essere? Il collaboratore esterno può rivolgersi al giudice affermando che si tratta di un licenziamento ritorsivo (ovvero per antipatia o rappresaglia) e frutto dunque di una reazione spropositata rispetto alla richiesta del collaboratore esterno?
In questi casi, l’azienda potrebbe sostenere a sua difesa che non si può utilizzare la normativa sui licenziamenti nei confronti di chi non è un lavoratore subordinato a tutti gli effetti, ma piuttosto un autonomo o co.co.co. o comunque collaboratore esterno. Insomma, come stanno esattamente le cose: si può licenziare un collaboratore? Lo vedremo insieme nel corso dell’articolo, ricordando però prima che cosa si deve intendere per ’collaboratore esterno’ e quali caratteristiche lo definiscono. I dettagli.
Licenziamento del collaboratore esterno, è possibile?
Chi è il collaboratore esterno?
Onde sgomberare il campo da possibili dubbi, ed inquadrare il contesto di riferimento relativo alla domanda che ci siamo posti in partenza, chiariamo che il collaboratore esterno in un’azienda è un soggetto che lavora per l’azienda stessa, ma non ha sottoscritto un contratto di lavoro subordinato con essa - come invece è stato per i dipendenti operativi in essa.
Caratteristica tipica del collaboratore esterno è che di solito è chiamato per svolgere attività specifiche e di durata circoscritta nel tempo, in genere correlate alla realizzazione di progetti, alla fornitura di una consulenza o comunque ad attività occasionali. Pensiamo ad es. ad un freelance che viene chiamato a collaborare per la realizzazione di un sito web aziendale o ad un’azienda di servizi di pulizie che fornisce beni o servizi al committente, senza avere un rapporto di lavoro subordinato con essa.
Il contratto di collaborazione coordinata e continuativa (co.co.co.) è usato con frequenza per definire il rapporto di lavoro tra l’azienda e il professionista o consulente esterno e, in particolare, in caso di collaborazione esterna l’azienda sfrutta competenza e esperienza del collaboratore esterno, che a sua volta può organizzare in autonomia il proprio lavoro, senza specifici vincoli di orario. Pertanto anche da questo si può desumere l’autonomia del lavoro del collaboratore, considerato che il rapporto con l’azienda committente si basa tipicamente su un contratto per la prestazione di un servizio.
Va da sé comunque che il non avere vincoli di orario non comporta necessariamente che il collaboratore esterno sia libero di lavorare quando vuole e come vuole. Piuttosto, il contratto che disciplina la collaborazione tra il collaboratore esterno e l’azienda può includere ed include delle scadenze e dei tempi per l’effettuazione o consegna del lavoro, della prestazione, della consulenza o del servizio, che il collaboratore ovviamente deve rispettare.
Il committente può licenziare il collaboratore esterno?
Se ci si chiede se l’azienda committente possa licenziare un collaboratore esterno, chiariamo che ciò non è possibile proprio per la tipologia di contratto che questa figura firma con l’azienda. Non si applicano dunque le norme sui licenziamenti, previste a tutela della generalità dei lavoratori subordinati, ma piuttosto il mezzo per sciogliere il rapporto di lavoro consiste nel recesso dal contratto - sulla scorta dei termini e le scadenze di cui al contratto stesso, ed eventualmente rispettando il preavviso se previsto.
Attenzione però, perché proprio qui sta il nocciolo della questione: nel caso in cui il contratto di collaborazione esterna nasconda un rapporto di lavoro subordinato perché ha di quest’ultimo tutte le specifiche caratteristiche (tra le altre l’orario di lavoro predeterminato, l’assoggettamento al potere direttivo del datore di lavoro, il potere di controllo) il lavoratore potrebbe ricorrere al giudice in modo da assimilare la propria posizione a quella di un normale dipendente - ovviamente una volta accertata la simulazione.
La naturale conseguenza di questo è che, venendo riqualificato il rapporto di lavoro da autonomo a dipendente, varrà piuttosto tutta la disciplina prevista a tutela di quest’ultimo, inclusa quella sui licenziamenti. La svolta a favore del collaboratore dipenderà perciò da come il magistrato qualificherà il rapporto di lavoro, alla luce di ciò che emergerà nel corso della causa.
In termini pratici, come stanno dunque le cose? Ebbene, ogni azienda committente farà bene a ricordare che, nel caso in cui scelga di avvalersi di un collaboratore che invece andrebbe assunto come dipendente, non può licenziarlo se non ricorrono i requisiti della giusta causa o del giustificato motivo soggettivo o oggettivo. Insomma, se un collaboratore svolge le stesse mansioni di un dipendente e a lui va parificato, questi potrà essere allontanato dall’azienda esclusivamente per ragioni disciplinari o per ragioni correlate alla produzione, all’organizzazione e all’andamento dell’azienda.
Chiarimenti sulla contestazione del licenziamento
Abbiamo appena detto che per opporsi al licenziamento, il collaboratore esterno dovrà attivarsi con una causa civile in tribunale, servendosi dunque di un avvocato. Questo sarà il luogo in cui far accertare opportunamente la presenza di un rapporto di lavoro subordinato. Non dimentichiamo infatti che non poche aziende utilizzano persone con contratti co.co.co. o false partite Iva proprio per evitare i maggiori vincoli e regole di tutela per i dipendenti, che derivano appunto dalla subordinazione (ad es. le regole sulla durata massima dell’orario di lavoro, sulla sicurezza sul lavoro, sul congedo di maternità, sulla retribuzione minima, sui contributi ecc.).
Ebbene, per fare accertare dal giudice la natura subordinata del rapporto il collaboratore dovrà provare i cosiddetti ’indici di subordinazione’, vale a dire quei fattori che servono a distinguere un rapporto di lavoro autonomo da uno subordinato. In buona sostanza il collaboratore esterno, per il tramite del suo avvocato, dovrà convincere il magistrato della presenza dell’obbligo di eseguire i comandi dell’azienda, oppure di rispettare un orario di lavoro, o ancora dovrà provare la presenza di un potere disciplinare e di controllo del datore di lavoro.
Altri elementi utili alla prova sono la presenza di uno stipendio mensile fisso e e non parametrato al lavoro svolto, ed anche il dover dare chiarimenti e spiegazioni in caso di assenze o ferie.
Quando un licenziamento è ritorsivo? La prova
Alla luce di quanto abbiamo visto finora, un datore di lavoro non può licenziare il falso collaboratore esterno soltanto perché questi chiede - opportunamente - di essere formalmente assunto. Altrimenti potrebbe applicarsi la disciplina sul licenziamento ritorsivo con conseguente nullità dello stesso.
Il collaboratore esterno potrà provare la ritorsione, evidenziando nella causa civile gli elementi che comportano consequenzialità tra la richiesta di regolarizzazione del contratto e la risoluzione di quest’ultimo. Chiaro dunque che, se tra l’una e l’altra passano pochi giorni, potrà dimostrarsi il rapporto di causa-effetto e l’aspetto ritorsivo del licenziamento. Analogamente, se il collaboratore esterno proverà l’assenza di un valido motivo per il licenziamento - vale a dire una giusta causa o un giustificato motivo soggettivo oppure oggettivo - potrà convincere il giudice circa il licenziamento ritorsivo nei suoi confronti.
Concludendo, dimostrata la presenza della subordinazione e dichiarato illegittimo il licenziamento, il giudice designato potrà applicare al falso collaboratore esterno le regole di tutela in tema di licenziamenti e attribuire a questi anche un risarcimento del danno.
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