Meno donne in Parlamento: è record negativo. Su 600 parlamentari solo 186 sono donne e la colpa è dei partiti. Ecco chi ha fatto peggio.
Meno donne in Parlamento. Non accadeva da vent’anni che la percentuale di donne in Parlamento scendesse invece di aumentare. La colpa è dei partiti che hanno candidato e favorito gli uomini piuttosto che le donne. Ci sono partiti che hanno fatto meglio e partiti che hanno preferito candidare più uomini, come Fratelli d’Italia e Lega.
Questo è, a detta di molti commentatori e commentatrici, una prova di come una premier non basta a far compiere un passo verso la parità di genere. La giornalista Corinna De Cesare ha ricordato come proprio grazie agli espedienti del Rosatellum i partiti abbiano potuto limitare e “schiacciare la componente femminile”, per usare le sue parole. Infatti non si tratta di una accordata preferenza da parte degli italiani, quanto più un posizionamento strategico di determinati nomi all’interno delle liste elettorali. Eppure in questa campagna elettorale molto si è giocato sul corpo delle donne, dall’aborto alla condivisione di materiale non consensuale.
La mancanza di una posizione netta da parte dei partiti, ma anche delle parlamentari, ha portato in Parlamento solo 186 donne su 600 parlamentari, il 31% del totale. Nella legislatura del 2018-2022, per fare un paragone, le donne avevano raggiunto la quota più alta della storia, con una percentuale del 35,3% (334 donne su 945 parlamentari). All’alba della nuova legislatura (2022) si può affermare con certezza che una percentuale inferiore di donne non potrà rispondere, visto che non è accaduto neanche in passato, alle istanze delle donne, le donne emarginate e che chiedono un cambiamento di velocità rispetto al ritmo con il quale l’Italia è destinata a raggiungere la parità di genere, un tempo teorizzato di oltre 130 anni.
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Meno donne in Parlamento: di chi è la colpa
Ci si può domandare come sia stato possibile che il numero delle donne in Parlamento, soprattutto in un momento storico nel quale si chiedono risposte alla discriminazione di genere, sia diminuita. La risposta è divisa su due livelli: al primo le scelte di partito, nel momento di presentare la lista dei propri candidati; al secondo posto si trova la legge elettorale stessa.
La legge elettorale, come ricorda Il Post, prevede misure per incoraggiare l’elezione di candidate, cioè sul totale delle candidature di una lista non può prevalere un genere, cioè non può essere rappresentato più del 60% (massimo 6 uomini su 10 candidati). Inoltre nelle liste dei collegi plurinominali i generi vanno alternati: un uomo, una donna, un uomo, una donna e via dicendo. Ma allora cosa è successo? Semplice, sta qui la scelta dei partiti. Infatti le regole per la parità di genere del Rosatellum sono state eluse. Con le legge elettorale Rosatellum un candidato o una candidata possono essere nominati in un massimo di cinque colleghi diversi e le donne in molti casi sono state nominate in più collegi, mentre gli uomini in meno.
Riportiamo l’esempio che fa Il Post:
Se una donna è stata candidata in 5 collegi diversi e in 3 di questi il suo partito ha raggiunto i voti necessari per eleggere il capolista, la candidata viene eletta in 1 dei 3, e negli altri 2 vengono eletti 2 uomini secondi nella lista.
In questo modo su un totale di 10 collegi, candidando due sole donne capoliste e 10 uomini al secondo posto, un partito può eleggere 2 donne e 8 uomini.
Chi ha fatto peggio: i partiti che hanno eletto meno donne
In seguito alla vittoria di Fratelli d’Italia e al ruolo di prima ministra del Consiglio ottenuto da Giorgia Meloni si è discusso molto dell’ascesa di una donna e della rottura del soffitto di cristallo. Eppure sono in molte - principalmente scrittrici, giornaliste e attiviste - a commentare come la vittoria di una donna non sia per forza una vittoria delle donne. La prova, se vogliamo iniziare a fare due conti in merito, sta proprio nella diminuzione della presenza delle donne in Parlamento.
Tra i partiti quello che ha fatto maggior utilizzo dello stratagemma sopra indicato per favorire i candidati maschi è stato proprio Fratelli d’Italia, seguito a ruota della Lega. Proprio per questo Fratelli d’Italia è il partito che ha eletto meno donne tra i grandi partiti, mentre i partiti che hanno fatto meglio sono stati Azione-Italia Viva e il Movimento 5 Stelle.
Pagella politica ha generato un grafico che mostra la percentuale di donne e uomini eletti dei maggiori partiti candidati alle elezioni del 25 settembre 2022. Di seguito i dati a confronto:
Partito | % donne elette | % uomini eletti |
Fratelli d’Italia | 27% | 73% |
PD | 28,6% | 71,4% |
SI-Verdi | 31,3% | 68,8% |
Lega | 31,6% | 68,4% |
Forza Italia | 31,7% | 68,3% |
Noi moderati | 33,3% | 66,7% |
M5S | 45% | 55% |
Azione-IV | 46,7% | 53,3% |
In generale il nuovo Parlamento sarà più anziano e con meno donne, infatti se nella scorsa legislatura l’età media era di 47 anni, l’attuale si aggira intorno ai 52; mentre le donne elette nel 2018-2022 erano in percentuale il 35% del totale, mentre oggi il 33%.
Meno donne in Parlamento: ma chi hanno votato le donne
È vero la coalizione di centrodestra è quella che ha preso più voti, ma come è stato fatto notare il partito che ha preso più voti in realtà è quello dell’astensionismo. Un dato importante è quello che vede una bassa affluenza di giovani e donne ai seggi elettorali. Il dato dell’affluenza femminile è il più basso degli ultimi anni, tanto che solo il 62,19% delle italiane ha esercitato il proprio diritto al voto. Sorprende leggere che proprio nelle grandi città le donne hanno scelto di non presentarsi ai seggi in numero maggiore.
L’astensionismo degli italiani in generale e quello dei giovani e delle donne nel particolare devono essere un segnale d’allarme. Non si può festeggiare una vittoria con oltre il 30% di astensione, o almeno dovrebbe aprire una fase di dibattito sul divario tra politica e cittadini, tra politica e giovani e tra politica e donne. Un dibattito che però sembra essere rimandato perché sono proprio le donne e i giovani a non essere rappresentati adeguatamente in Parlamento. Dei punti di ripartenza possibili ci sono, per esempio garantendo il voto ai fuori sede o eliminando la divisione tra uomini-donne (una divisione discriminante e che causa, oltre al disagio, un forzato outing pubblico che mette potenzialmente a rischio le persone trans) ai seggi elettorali.
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