Un’analisi sui dati di 15 Paesi UE mostra nel dettaglio come l’immigrazione abbia un impatto positivo sull’economia. I dettagli.
Le persone che hanno cercato asilo in Europa non hanno gravato sulle economie dei loro Paesi d’accoglienza, ma hanno avuto un effetto positivo.
È quanto emerge da un recente studio, pubblicato proprio in corrispondenza con le crisi umanitarie sempre più gravi in Siria e in altre parti del Medio Oriente, che hanno causato il maggior numero di migranti dalla seconda guerra mondiale. Nel 2015 oltre un milione di persone ha chiesto asilo nei Paesi dell’UE.
Per analizzare gli effetti di questo enorme spostamento nell’Europa occidentale, diversi economisti residenti in Francia hanno studiato i dati di tre decenni dell’OCSE e dell’Eurostat riferiti a 15 paesi: Austria, Belgio, Danimarca, Finlandia, Francia, Germania, Islanda, Irlanda, Italia, Norvegia, Paesi Bassi, Portogallo, Spagna, Svezia e Regno Unito.
A differenza degli studi precedenti, i ricercatori non hanno solo indagato sulle tasse pagate dagli immigrati, ma anche sulle loro interazioni economiche.
Il team di esperti ha posto una distinzione alla base: quella tra i richiedenti asilo - che hanno diritto legale a trasferirsi in un Paese ospitante mentre la loro domanda di residenza viene analizzata dalle autorità preposte - e gli immigrati, i quali hanno già ottenuto i documenti che consentono la permanenza.
Tra il 1985 e il 2015, l’Europa occidentale ha assistito per la prima volta a un’escalation nel numero di richiedenti asilo - osservano gli autori dello studio - a causa del conflitto nell’ex Jugoslavia. Un’altra ondata è arrivata in seguito alla primavera araba del 2011 e della guerra civile in Siria.
Immigrazione: impatto positivo sull’economia, lo dicono i dati
Processando i dati sul PIL pro capite, i tassi di disoccupazione e le finanze pubbliche, i ricercatori hanno scoperto che i richiedenti asilo non hanno avuto alcun effetto negativo sulle economie. In realtà, dai 3 ai 5 anni successivi alla concessione dell’asilo, i nuovi arrivi hanno avuto impatto decisamente positivo.
L’aumento del numero di migranti, nel periodo in considerazione, è stato infatti relazionato a diversi cambiamenti positivi quali un PIL pro capite in miglioramento e tassi di disoccupazione in calo. Inoltre, qualsiasi aumento della spesa pubblica è stato bilanciato dall’aumento delle entrate fiscali in arrivo dai nuovi residenti.
I risultati degli economisti del CNRS (Centro nazionale per la ricerca scientifica), dell’Università di Clermont-Auvergne e dell’Università di Parigi-Nanterre, tutti operanti in Francia, sono stati pubblicati sulla rivista Science Advances.
La pubblicazione arriva quasi in contemporanea con le dure condanne alla politica di “tolleranza zero” adottata dal presidente Donald Trump, che in 6 settimane ha portato alla separazione di 2.300 bambini dai loro genitori.
Nel difendere la sua misura e le sue posizioni alla Casa Bianca, lo scorso lunedì, Trump ha fatto riferimento agli effetti negativi dell’immigrazione in Europa:
“Gli Stati Uniti non saranno un campo di accoglienza per migranti né un centro di detenzione per profughi. Date un’occhiata a quello che sta succedendo in Europa e in altri Paesi. Non possiamo permettere che accada anche negli Stati Uniti. Non finché ci sarò io”.
Tuttavia, secondo l’analisi dell’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM) compiuta sugli ultimi dati disponibili del 2017, gli atteggiamenti verso i migranti negli Stati Uniti sono in generale più positivi rispetto a quelli europei.
Il professor Hippolyte d’Albis, direttore di ricerca presso il CNRS e autore dello studio, spiega che l’immigrazione è un argomento complesso, dalle infinite sfaccettature; ma da una prospettiva economica - sottolinea - la convinzione che gli immigrati influiscano negativamente su un Paese non è supportata dai dati:
“Limitare la migrazione legale potrebbe avere effetti negativi sull’economia: potrebbe ridurre la crescita e aumentare la disoccupazione”.
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