Stop alla pensione di invalidità dopo i 65 anni: ecco cosa ha deciso la Cassazione e cosa comporta.
La Cassazione con ordinanza n. 3011/2023 ha stabilito lo stop della pensione d’invalidità dopo i 65 anni. Oltre questa età eventuali pensioni di inabilità o invalidità civile non possono essere riconosciute. I fatti su cui si è pronunciata la Corte sono tuttavia risalenti a diverso tempo fa e pertanto non possono tenere conto degli adeguamenti annuali più recenti.
Stop alla pensione di invalidità dopo i 65 anni: cos’è successo
L’ordinanza citata ha in oggetto il caso di una signora che ha richiesto l’accertamento della propria invalidità civile, respinto dal tribunale ma accolto in appello, e quest’ultimo ha consentito la decorrenza della pensione da gennaio 2015. Avendo in quel momento la titolare della pensione già compiuto 65 anni, l’Inps stesso ha impugnato la decisione d’appello. La Corte di cassazione ha quindi accolto il ricorso dell’Inps, sulla base del decreto legislativo n. 509/1988. L’articolo 8 di quest’ultimo decreto stabilisce, infatti, che la pensione di invalidità è riconosciuta a persone di età compresa fra 18 e 65 anni. Non si tratta quindi di una nuova interpretazione, bensì di un principio giuridico già esistente, evidentemente non applicato adeguatamente in fase di appello.
La richiesta dell’Inps è quindi più che legittima, in quanto la signora titolare della pensione di invalidità avrebbe dovuto perdere questo trattamento al compimento dei suoi 65 anni, così come previsto dalla legge e dagli adeguamenti annuali dell’epoca di riferimento. Questo, tuttavia, non significa che per una semplice soglia anagrafica i cittadini perdano ogni tipo di trattamento. Il decreto legislativo n. 509/1988 stabilisce infatti l’accesso a un beneficio alternativo, ossia l’assegno sociale, funzionale anche in misura sostitutiva di altri trattamenti già erogati fino all’età massima consentita.
La pensione di invalidità si perde a 65 anni?
La legge stabilisce che sia la pensione di inabilità che quella di invalidità non potrebbero essere richieste al superamento dei 65 anni, ad oggi diventati 67 al netto degli adeguamenti annuali; dunque chi ad oggi ha compiuto 67 anni non può più richiedere o comunque continuare a beneficiare della pensione di invalidità civile o di inabilità, ma deve ricorrere all’assegno sociale.
Allo stesso tempo, nel 2023 la pensione di invalidità civile e quella di inabilità sono riconosciute da 18 anni a 67 anni. Il principio legale, difatti, è elastico nell’accogliere gli aggiornamenti circa l’età pensionistica che non possono essere fissi e irremovibili, ma appunto cambiano di anno in anno.
La regola generale che si riesce a trarre da questa ordinanza è dunque che compiuta l’età di accesso per l’assegno sociale si perde il diritto alla pensione di invalidità e di inabilità. Entrambi questi trattamenti devono essere sostituiti dall’assegno, il quale non è altro che l’ex pensione sociale.
La pronuncia della Cassazione, quindi riflette appieno la normativa di riferimento, applicata secondo l’arco temporale per cui l’Inps aveva ritenuto non dovuto il contributo pensionistico. L’articolo 8 del decreto legislativo n. 509/1988, peraltro, non è rigido nel fissare l’età massima per la pensione di invalidità e quella civile, bensì evidenzia la preminenza dei requisiti e delle condizioni previste dalla normativa vigente. Lo stesso articolo stabilisce anche che se l’importo dell’assegno sociale risulta inferiore rispetto a quello ricevuto dal percettore della pensione, è necessaria l’erogazione di questa differenza con un’integrazione a titolo di assegno ad personam, a carico del ministero dell’Interno.
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