Conoscere la legge Fornero è fondamentale per poterla commentare. Ed è importante ricordare che la riforma non si attuò da sola: tra i firmatari ci sono anche volti importanti della politica.
Nei giorni scorsi abbiamo fatto chiarezza sulle ragioni per cui, quando sono trascorsi quasi 13 anni, sarebbe opportuna una rivalutazione dell’opinione pubblica della legge Fornero del 2011.
Conosciuta anche come “riforma di lacrime e sangue”, ma d’altronde - per quanto come descrizione possa sembrare esagerata - è davvero così dal momento che ha contribuito ad allungare improvvisamente l’età per la pensione impedendo a molti lavoratori che erano ormai prossimi al collocamento in quiescenza di poter smettere di lavorare.
Quel che bisogna sottolineare, però, è che quella riforma era indispensabile per il Paese. Lo dimostra il fatto che la politica si tirò fuori dall’attuarla, preferendo un governo tecnico piuttosto che avere una macchia di un tale genere sul proprio curriculum.
La legge Fornero ha comunque aiutato, e non poco: il risparmio stimato dalla Ragioneria di Stato è di 80 miliardi di euro, un conto che ha assicurato la messa in sicurezza dei conti pubblici e del sistema previdenziale, anche per i prossimi anni grazie all’impopolare, ma anche questo necessario, passaggio al sistema contributivo.
Sarebbe opportuno dunque riconoscere alla legge Fornero il ruolo nella storia che merita, anziché attaccare ancora oggi chi l’ha attuata semplicemente perché non aveva altra scelta. Ma d’altronde se ancora oggi il ministro dell’Economia e delle Finanze dichiara che allo stato attuale non ci sono le condizioni per una nuova riforma delle pensioni, non si può negare che prima o poi quelle decisioni bisognava prenderle.
Tuttavia, come prima cosa è importante conoscere con esattezza cosa ha fatto la legge Fornero e quali sono i risvolti che la riforma ha avuto sul nostro sistema pensionistico. Informazioni che trovi anche nel corso di Money.it «Pianificare la pensione», a cui puoi iscriverti cliccando qui.
Le ragioni della riforma Fornero
Le modifiche in materia previdenziale apportate dalla riforma Fornero del 2011 (articolo 24 del D.L. 201/2011) sono state motivate dall’esigenza di garantire sostenibilità al sistema previdenziale in un periodo in cui i conti pubblici erano in una situazione drammatica.
“C’era il rischio di non avere più i soldi per pagare le pensioni”, si è sempre difesa l’allora ministra del Lavoro (per il governo Monti) Elsa Fornero, la quale in un’intervista pubblicata da noi di Money.it ha ribadito che si è trattato di una “riforma necessaria”.
L’Italia era in piena crisi del debito sovrano, lo spread era arrivato a toccare quota 575 punti: con la legge di Bilancio si decise di mettere mano alle pensioni per tagliare i costi, introducendo regole più severe tanto per l’accesso quanto per il calcolo. Una riforma che ha garantito un risparmio di 22 miliardi tra il 2011 e il 2020 e continuerà a ridurre i costi fino al 2045.
Cosa ha previsto la legge Fornero
Nel dettaglio, con l’articolo 24 del D.l. n. 201 del 2011 è stata attuata una revisione complessiva del sistema pensionistico. Partendo dalla rideterminazione dei requisiti per andare in pensione. Prima della “Fornero”, infatti, si andava in pensione soddisfando i seguenti requisiti:
- pensione di vecchiaia a 65 anni di età per gli uomini, 61 anni per le donne del pubblico impiego e 60 anni per quelle del settore privato. Il tutto con 20 anni di contributi;
- per la pensione di anzianità, invece, veniva utilizzato il meccanismo delle quote. Nello specifico, il diritto alla pensione veniva perfezionato al raggiungimento, per la maggior parte dei lavoratori, di Quota 96, con almeno 60 anni di età e 35 anni di contributi.
La legge Fornero è intervenuta su entrambe, con il risultato che oggi, complici gli adeguamenti con le aspettative di vita intervenuti da allora (che nel complesso hanno comportato un incremento di 12 mesi per l’età pensionabile), per la pensione di vecchiaia bisogna aver compiuto 67 anni di età, tanto gli uomini quanto le donne, mentre per quella di anzianità, che nel frattempo è diventata pensione anticipata, serve avere almeno 42 anni e 10 mesi di contributi, 1 anno in meno per le donne (indipendentemente dall’età anagrafica).
Come visto sopra, in parte questi requisiti sono stati modellati anche dagli adeguamenti con le speranze di vita, ossia quel meccanismo che adegua i requisiti di accesso alla pensione alla durata della vita. Ebbene, va detto che anche su questo sistema c’è la mano della riforma Fornero: fu la legge del 2011, infatti, a stabilire che a partire dal 2019 il suddetto adeguamento sarebbe dovuto avvenire con cadenza biennale anziché trimestrale.
Il calcolo della pensione
Oggi per calcolare la pensione si utilizza il sistema contributivo, molto più penalizzante rispetto al retributivo (che ancora vale per i periodi antecedenti all’1 gennaio 1996, oppure al 1 gennaio 2012 per coloro che entro il 31 dicembre 1995 avevano maturato 18 anni di contributi). Tuttavia non è stata la legge Fornero a introdurre un tale sistema di calcolo, bensì la legge Dini del 1995. Tuttavia, è stata la riforma voluta dal governo Monti a estendere questo nuovo sistema anche a coloro che ne erano stati precedentemente esclusi, ossia proprio coloro che nel 1995 avevano già 18 anni di contributi versati.
Lato rivalutazione, ossia il meccanismo che adegua l’importo delle pensioni al costo della vita, la riforma Fornero aveva disposto il blocco per coloro che avevano una pensione d’importo superiore a 3 volte il trattamento minimo, fino però al 2017. Tuttavia, successivamente è intervenuta la sentenza n. 70 del 2015 della Consulta a dichiarare incostituzionale il blocco reiterato.
Chi l’ha votata
Come anticipato, non è un caso che ad attuare una tale riforma sia stato un governo tecnico. La politica ha preferito fare un passo indietro, consapevole del fatto che le decisioni da prendere, seppur necessarie, rischiavano di essere una macchia indelebile per il prosieguo delle loro attività.
Tuttavia, va detto che la legge Fornero non è di certo stata approvata da sola. C’è stato chi l’ha votata, e molti sono dei volti noti della politica.
E pensate che tra coloro che votarono in maniera favorevole per l’approvazione della riforma ci fu anche l’attuale presidente del Consiglio, Giorgia Meloni. E non fu la sola, in quanto tra i volti noti si segnalano anche Silvio Berlusconi, Pierferdinando Casini e Mara Carfagna, ma anche esponenti del Centrosinistra come Pierluigi Bersani, Teresa Bellanova e Massimo D’Alema.
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