Pensioni, il governo ha deciso cosa fare della Fornero. Ecco cosa sappiamo sulla riforma

Simone Micocci

19 Settembre 2024 - 10:04

Riforma delle pensioni, cosa cambia nel 2025? Ecco cosa ne sarà della legge Fornero.

Pensioni, il governo ha deciso cosa fare della Fornero. Ecco cosa sappiamo sulla riforma

Prendete la legge di Bilancio 2024, “strappate” la parte dedicata alle pensioni e fatene una fotocopia: ecco, potreste avere la riforma delle pensioni che verrà finanziata dalla prossima manovra.

Stando alle ultime indiscrezioni che arrivano dai “palazzi”, infatti, sembra che la prossima riforma delle pensioni sarà un una sorta di “copia e incolla” della precedente, con il governo che preso atto delle difficoltà di approvare alcune delle misure che aveva in programma - iniziando da Quota 41 per tutti - sembrerebbe aver deciso per il male minore, ossia scongiurare il ritorno integrale alla riforma Fornero.

D’altronde, ci sono diverse misure in scadenza alla fine di quest’anno che se non rinnovate possono comportare un allungamento dell’età pensionabile, come pure al paradosso che alcuni assegni di pensione risultino più bassi rispetto a quest’anno.

Ecco perché, seppur con qualche correttivo, la prossima riforma delle pensioni non dovrebbe prevedere chissà quali novità rispetto a oggi, con il governo che comunque sta riflettendo su alcune misure rivolte ad alcune particolari categorie, come ad esempio i dipendenti pubblici e i più giovani.

Cosa non cambia per le pensioni

L’anno 2025 non sarà molto diverso dal 2024 per quanto riguarda le regole di accesso alla pensione. Il governo è convinto di aver già fatto abbastanza lo scorso anno, ad esempio rivedendo il requisito economico richiesto per i contributivi puri che accedono alla pensione di vecchiaia, e per questo potrebbe limitarsi a confermare le misure in scadenza.

Partendo da Quota 103, sulla quale si è ragionato sulla possibilità di eliminare il requisito anagrafico (62 anni) in modo da passare a Quota 41 per tutti e consentire l’accesso alla pensione con soli 41 anni di contributi ma preso atto del costo maggiore si è deciso di rimandare qualsiasi discorso a riguardo per i prossimi anni.

Quota 103 dovrebbe essere mantenuta uguale a com’è oggi, confermando anche la penalizzazione in uscita (attraverso un ricalcolo interamente contributivo dell’assegno) e l’incentivo per chi invece sceglie di ritardare l’accesso pur avendone maturato i requisiti (il cosiddetto bonus Maroni).

Lo stesso verrà fatto per l’Ape Sociale e Opzione Donna, misure che come spiegato di recente dal sottosegretario al ministero del Lavoro, Claudio Durigon, “non sono mai state in discussione”. E dopo il cambio dei requisiti dello scorso anno, con un incremento rispettivamente di 5 mesi e 1 anno per l’età pensionabile, non dovrebbero esserci altre modifiche.

L’Ape Sociale, riservata a disoccupati, invalidi, caregiver e gravosi, verrà quindi mantenuta a 63 anni e 5 mesi di età con 30 anni di contributi (che diventano 36 nel caso dei gravosi), mentre per Opzione Donna l’età anagrafica sarà ancora di 61 anni (con la possibilità di riduzione di 1 o 2 anni in base al numero di figli).

Così come non dovrebbe cambiare la misura della rivalutazione straordinaria applicata sulle pensioni di importo inferiore al minimo, oggi pari al 2,7%. Se non confermata, infatti, ci sarebbe il paradosso che, nonostante la prossima rivalutazione, le pensioni inferiori al trattamento minimo risulteranno più basse rispetto a quest’anno, scenario che ovviamente si vuole evitare a tutti i costi. Ecco perché sarà mantenuta la maggiorazione del 2,7% che porterà le pensioni minime a raggiungere quota 625 euro (circa).

Cosa cambia per le pensioni

Dovrebbero comunque esserci delle novità per le pensioni, per quanto comunque di poco conto. Ad esempio, esclusivamente su base volontaria e in accordo con l’amministrazione, i dipendenti pubblici potrebbero restare in servizio anche dopo il raggiungimento dei 67 anni (ma fino a 70), beneficiando così di tutti i vantaggi previsti nel caso in cui si ritardi il pensionamento.

Per spingere le adesioni ai fondi per la pensione integrativa, poi, potrebbe essere prevista una sorta di silenzio assenso per il trattamento di fine rapporto. Laddove il lavoratore non comunichi a chi vuole destinare il proprio Tfr entro un certo termine, allora anziché restare in azienda (come avviene oggi) verrebbe destinato a un fondo pensione.

Per il momento non sembrano esserci altre novità rilevanti sulle pensioni, se non quella che se approvata rischia di ritardare il pensionamento di quei lavoratori che maturano i requisiti per la pensione anticipata. Sembra, infatti, che il governo stia valutando la possibilità di allungare a 6 mesi il termine della finestra mobile trimestrale, facendo così slittare la data di liquidazione dell’assegno.

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