Pensioni, nuovo bonus 2024. Ecco come chiedere 5 anni di contributi all’azienda

Simone Micocci

5 Aprile 2024 - 10:21

Nel 2024 e nel 2025 ritorna la pace contributiva, con la possibilità che se ne possa fare carico anche il datore di lavoro (con notevoli vantaggi fiscali).

Pensioni, nuovo bonus 2024. Ecco come chiedere 5 anni di contributi all’azienda

Tanto nel 2024 quanto nel 2025 viene introdotto un nuovo “bonus” a carico del datore di lavoro il quale potrebbe farsi carico del costo previsto per il riscatto fino a 5 anni di contributi.

Una possibilità che i datori di lavoro potrebbero cogliere semplicemente per riconoscere un benefit al dipendente, come pure per agevolarne l’uscita dal mercato del lavoro e favorire quindi il ricambio generazionale in azienda.

A darne conferma è l’Agenzia delle Entrate nella circolare 5/E del 7 marzo scorso, nella quale sono state riepilogate le novità in materia di reddito di lavoro dipendente introdotte dal governo Meloni tanto con il decreto Anticipi (decreto-legge 18 ottobre 2023, n. 145) quanto con la legge di Bilancio 2024.

Tra queste, oltre alle modifiche apportate ai cosiddetti fringe benefit con la possibilità per i datori di lavoro di rimborsare anche i costi sostenuti dal dipendente per le utenze di acqua, luce e gas, canone di affitto, e interesse del mutuo, figura anche la possibilità che il datore di lavoro sostenga l’onere previsto per la cosiddetta pace contributiva, ossia quello strumento che consente di riscattare fino a 5 anni di contributi per dei periodi non lavorati.

Cos’è la pace contributiva

Non è la prima volta che in Italia si parla di pace contributiva: era già successo nel 2019, salvo poi cessare nel 2021 al termine del periodo sperimentale. Adesso il governo ha deciso di riaprirne i termini, consentendo ai lavoratori di riscattare in tutto o in parte dei periodi non lavorati, quindi di vuoto contributivo.

Tale possibilità è riservata a:

  • lavoratori pubblici e privati;
  • iscritti alle gestioni Inps dipendenti o autonomi o alle forme sostitutive (Fondi speciali come fondo telefonici, fondo elettrici, fondo trasporti, Fondo Dirigenti d’Azienda ex Inpdai; Fondo Volo; Fondo di Previdenza dello Spettacolo);
  • coloro che hanno iniziato a versare contributi nel periodo successivo all’1 gennaio 1996, i cosiddetti contributivi puri.

È bene sottolineare poi che possono essere riscattati solamente quei periodi scoperti da contribuzione obbligatoria interposti tra due periodi lavorati. Non è quindi possibile ricorrere alla pace contributiva per i periodi precedenti alla prima occupazione. Inoltre, il riscatto è valido solo per i periodi antecedenti all’entrata in vigore della legge di Bilancio 2024, quindi fino al 31 dicembre 2023.

Il vantaggio è che in questo modo anche i periodi riscattati - che possono essere anche non continuativi, ma comunque non superiori a 5 anni - vengono considerati tanto ai fini dell’acquisizione del diritto alla pensione, con la possibilità quindi di poterci anche andare prima, quanto per il calcolo dell’assegno.

Quindi, laddove la pace contributiva non servisse ad anticipare la pensione, potrebbe essere comunque utile per accrescere il valore dell’assegno futuro.

Quanto costa la pace contributiva

Il riscatto però non è gratuito. A seconda dei casi l’onere da sostenere può essere anche particolarmente elevato. Secondo quanto riportato dall’articolo 2, comma 5, del decreto n. 184 del 1997, infatti, l’onere è calcolato moltiplicando per l’aliquota contributiva Ivs - pari al 33% per il lavoratore dipendente - le retribuzioni percepite nelle ultime 52 settimane.

Quindi, chi ha uno stipendio di 30.000 euro l’anno dovrà pagare 9.900 euro per ogni anno di contributi che si vogliono riscattare.

Pace contributiva, può pagarla il datore di lavoro

Come anticipato, l’onere da sostenere per la pace contributiva rientra tra i “bonus” che il datore di lavoro può riconoscere al dipendente.

Come spiegato dall’Agenzia delle Entrate nella circolare 5/E del maggio scorso, il lavoratore può farne specifica richiesta all’azienda, con il datore di lavoro che è libero di accettare o meno.

In caso di risposta positiva l’onere sostenuto:

  • per l’azienda rappresenta un costo interamente deducibile dalle imposte;
  • per il lavoratore, invece, non rientra nel reddito.

Fiscalmente parlando, quindi, può rappresentare una buona soluzione tanto per l’azienda quanto per il lavoratore, configurandosi come una valida alternativa ai fringe benefit.

Onere che ricordiamo può essere sostenuto in un’unica soluzione, come pure dilazionato su un massimo di 120 rate (10 anni) con importo non inferiore a 30 euro.

Prima di concludere è importante sottolineare che la pace contributiva al momento non è ancora operativa: manca, infatti, la circolare attuativa dell’Inps con le istruzioni per farne richiesta.

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