Attenzione a Quota 100, Quota 102 e Quota 103: anche pochi giorni di lavoro - e un guadagno minimo - possono comportare la perdita della pensione.
Lavorare dopo la pensione in alcuni casi può costare molto caro: lo ha scoperto sulla sua pelle Giuseppe G. che per poche ore di lavoro dovrà restituire all’Inps 15.500 euro di assegno.
Va detto che il lavoro dopo la pensione non è sempre vietato, anzi: salvo l’obbligo di cessare qualsiasi attività come lavoratore subordinato al momento del pensionamento, generalmente non ci sono divieti di cumulo tra redditi lavorativi e pensione il che significa che una volta liquidato l’assegno si può anche essere assunti e riprendere a lavorare.
Non è così, però, per coloro che sono andati in pensione ricorrendo a una delle misure di flessibilità introdotte in questi anni, come ad esempio Quota 100, Quota 102 e Quota 103. Essendo misure che dovrebbero favorire il ricambio generazionale, infatti, il legislatore ha stabilito che la pensione percepita in anticipo non può essere cumulata con i redditi da lavoro dipendente, almeno fino a quando non vengono raggiunti i requisiti per l’accesso alla pensione di vecchiaia (quindi al compimento dei 67 anni).
Gli unici redditi compatibili con la pensione in questo caso sono quelli provenienti da prestazione occasionale, entro però un limite di 5.000 euro l’anno. Qualsiasi altro reddito da lavoro dipendente, anche se per pochi giorni e inferiore al suddetto importo, fa invece scattare la restituzione dell’intera pensione percepita nello stesso anno, per un importo che - come nel caso di Giuseppe G. - rischia di essere particolarmente elevato.
Lavora per pochi giorni e deve restituire 15 mila e 500 euro di pensione
La storia di Giuseppe G, 68enne pensionato di Pordenone, ci ricorda che la legge non ammette ignoranza e che quando si ricorre a una qualche misura bisogna informarsi accuratamente su quelle che sono regole e restrizioni.
Nel caso di specie, Giuseppe G. dopo essere andato in pensione con Quota 100 - con l’impiegato dell’Inps che gli ha più volte ricordato il divieto di svolgere qualsiasi attività lavorativa come dipendente fino a quando non avrebbe compiuto i 67 anni - ha ricevuto da un conoscente una proposta di lavoro, in quanto necessitava di una persona per la sistemazione degli scaffali in un centro commerciale.
Giuseppe, memore di quanto fatto presente dall’Inps, ha inizialmente rifiutato salvo poi accettare quando dall’ufficio amministrazione dell’azienda ha ricevuto la rassicurazione riguardo al fatto che quel lavoro non era compreso nei divieti imposti dall’Inps. Effettivamente, essendo un’attività di pochi giorni si poteva tranquillamente procedere inquadrandola come prestazione occasionale, così che per la pensione di Giuseppe non ci sarebbero state conseguenze.
Ma alla fine è andata diversamente: questo è stato infatti inquadrato come dipendente e nonostante un’attività lavorativa di 3 ore e mezza, e un’entrata di appena 30 euro, ha ricevuto dall’Inps una richiesta di restituzione di tutta la pensione percepita nello stesso anno, superiore a 15.500 euro. Fortunatamente l’Istituto ha acconsentito a un piano di rateizzazione, con 180 euro al mese che d’ora in avanti gli verranno trattenuti direttamente dalla pensione, ma il danno resta ed è considerevole.
Anche perché non ci sono possibilità di risolvere visto che la legge parla chiaro e la stessa Corte Costituzionale ha riconosciuto come legittima la disposizione che vieta il cumulo tra pensione e reddito da lavoro dipendente, qualunque sia l’importo, per chi è andato in pensione con Quota 100 (o anche con Quota 102 e Quota 103).
Divieto di cumulo pensione lavoro, per la Corte Costituzionale è legittimo
Con la sentenza n. 234 del 2022, la Corte Costituzionale ha riconosciuto come legittima la norma che vieta lo svolgimento di qualsiasi rapporto di lavoro subordinato - anche intermittente - a coloro che hanno fatto accesso alla pensione ricorrendo a una misura di flessibilità come Quota 100.
Nel dettaglio, come specificato dall’Inps con la circolare 117 del 2019, il pagamento della pensione è sospeso nell’anno in cui siano stati percepiti i redditi da lavoro dipendente, “nonché nei mesi dell’anno, precedenti quello di compimento dell’età richiesta per la pensione di vecchiaia, in cui siano stati percepiti i predetti redditi”. Di conseguenza, la pensione già pagata dovrà essere restituita all’Inps.
D’altronde, richiedere di uscire anticipatamente dal lavoro e poi intraprendere una nuova prestazione di lavoro sarebbe una contraddizione che tra l’altro andrebbe a contrastare con l’obiettivo di sostenere il ricambio generazionale.
E attenzione, perché la Corte Costituzionale ha ribadito che questo divieto non viola i principi della Costituzione neppure nel caso in cui possa determinarsi una sproporzione tra l’entità dei redditi da lavoro percepiti e i ratei di pensione da dover restituire, come nel caso del signor Giuseppe appunto.
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