Pensioni, perché la riforma del governo Meloni è un bluff: uscita anticipata per pochi lavoratori e zero turnover

Giacomo Andreoli

15 Novembre 2022 - 11:47

Nel governo è forte il pressing della Lega per non tornare alla legge Fornero, ma la mini Quota 41 rischia di essere utilizzata poco come l’attuale Quota 102, senza avviare un turnover con i giovani.

Pensioni, perché la riforma del governo Meloni è un bluff: uscita anticipata per pochi lavoratori e zero turnover

Poche uscite e senza un turnover vero e proprio con i giovani. Rischia di essere un semi-flop la riforma delle pensioni su cui ragiona il governo Meloni per la legge di Bilancio. Si tratta di una sorta di mini Quota 41, con l’uscita dal lavoro permessa a chi ha 41 anni di contributi e 61-62 o forse anche 63 anni di età.

A parlarne è stato il sottosegretario al lavoro Claudio Durigon, che ha spiegato come l’esecutivo non voglia tornare alla legge Fornero, ma debba anche affrontare le difficoltà di bilancio. Insomma: i soldi per fare Quota 41 pulita, senza limiti d’età, non ci sono, quindi si può fare solo una lieve riforma di Quota 102, per un costo di circa 1 miliardo di euro (o forse 700 milioni, con un trascinamento nel 2024).

L’attuale regime pensionistico, introdotto dal governo Draghi, aveva una platea di riferimento di circa 16mila persone: circa la metà, però, ha fatto domanda e manca solo un mese alla scadenza. Un numero molto esiguo di lavoratori, quindi, come esigua rischia di essere la platea di riferimento della nuova riforma.

Secondo Durigon l’avvio sperimentale di Quota 41 con il limite d’età nel 2023 dovrebbe mandare in pensione fino a 50mila persone. Un conto decisamente ottimista. Probabilmente, infatti, le persone che farebbero domanda sarebbero circa la metà, come è stato per le riforme passate, o addirittura meno vista la crisi economica.

Quota 41, difficile il turnover

Tutto questo, poi, varrebbe sia per il settore pubblico che per il privato, ma senza meccanismi di incentivo del turnover con i giovani il ricambio non ci sarà. Lo si è visto con Quota 100: nei tre anni in cui è stata in vigore, dal 2019 al 2021 non c’è stata alcuna evidenza di maggiore stimolo alle assunzioni. A certificarlo è il rapporto Inps 2021, che cita anche studi del 2020, secondo cui è stato sostituito circa un pensionato su due e non per forza da giovani. Tutte le analisi indipendenti, poi, sono state concordi nell’individuare effetti negativi sull’occupazione, visto soprattutto il mancato obbligo di sostituire i lavoratori nel settore pubblico.

Pensioni, come funziona la riforma del governo Meloni

La riforma su cui sta lavorando il governo sarebbe una sorta di “misura ponte” per arrivare auspicabilmente a Quota 41 secca il prossimo anno. Come confermato dal sottosegretario all’Economia, Federico Freni, ci stanno lavorando il ministero del Lavoro e quello dell’Economia. Varrebbe per il solo 2023 e permetterebbe di andare in pensione raggiungendo una quota che, sommando anni d’età e di contribuzione, è intorno a 102/103. Attualmente, invece, si può andare in pensione con 38 anni di contributi e 64 di età, ma la misura scade a fine anno e senza interventi si torna alla fatidica legge Fornero (con la pensione ad almeno 67 anni).

L’altra opzione sul tavolo dell’esecutivo, è di permettere uscite anticipate a 62 o 63 anni, con un livello di anni di contribuzione inferiore. L’obiettivo, in ogni caso, è mantenere la formula per cui sommando età e contributi si arriva a 102, 103 o al massimo 104. Il nuovo sistema pensionistico prevederà inoltre il divieto di cumulo con i redditi da lavoro, come vale per l’attuale Quota 102.

Niente aumenti di stipendio per chi ritarda la pensione

Accanto a questo il ministero dell’Economia guidato da Giancarlo Giorgetti ragiona su incentivi per chi ha maturato la pensione e resta al lavoro. L’idea è di far entrare una parte dei contributi che si smettono di versare direttamente in busta paga. L’aumento di stipendio così, potrebbe essere fino al 10%. In questo modo si ridurrebbero i costi di medio periodo per l’Inps, ma nel breve il peso economico a carico delle casse dello Stato ci sarebbe e quindi Durigon ha spiegato che probabilmente non si farà per “prudenza di bilancio. Della serie: i soldi a disposizione per la legge di Bilancio non bastano.

Quante persone possono andare in pensione con la riforma

Le ultime due riforme pensionistiche, Quota 100 e Quota 102, hanno visto un numero di domande molto più basso rispetto alla platea di riferimento. Per la prima l’allora governo Conte I aveva parlato di un milione di persone con i requisiti, ma in tre anni ne sono uscite solo 380mila. Per la seconda, invece, come detto, hanno fatto domanda in circa 8mila su 16mila possibili.

Anche in questo caso, quindi, rimanendo uguali i meccanismi fondamentali, tra cui il divieto di cumuli con redditi da lavoro e probabilmente le finestre mobili, secondo gli esperti è improbabile che si vada oltre la metà della platea citata dal governo Meloni. Quindi al massimo 25mila persone. Le finestre di uscita, come in passato, sarebbero di tre mesi per il lavoro privato e di sei per il pubblico.

Considerando, però, la crisi economica, tra inflazione e caro bollette, molti lavoratori all’interno della platea potrebbero decidere di non andare in pensione perché in questo modo l’assegno mensile sarebbe di sicuro inferiore allo stipendio. Ci potrebbero cioè essere ancor più fattori di disincentivo del passato, anche se l’età fosse più bassa del solito. Insomma, si potrebbe arrivare attorno alle 20mila persone al massimo.

Perché le donne non ci guadagnano

Infine rischiano di non guadagnarci le donne, soprattutto del pubblico impiego. In caso di finestra di sei mesi l’anticipo sarebbe ridotto rispetto alle attuali regole. Oggi, indipendentemente dall’età, possono infatti andare in pensione a 41 anni e 10 mesi di contributi, con finestra di tre mesi. Le donne della scuola, poi, vanno in pensione una volta l’anno e per loro l’efficacia potrebbe essere addirittura nulla.

Pensioni, perché la riforma Meloni è un bluff

La riforma pensionistica del governo, quindi, rischia davvero di non essere efficace. Coinvolge probabilmente solo 20mila persone e poi, senza meccanismi per il turnover, rischia di alzare la spesa per l’Inps, senza favorire l’occupazione e considerando poco le donne. Verrebbero quindi aiutati in pochi, ma con il rischio di peggiorare le condizioni economiche del Paese se ci sarà di nuovo un’assunzione ogni due uscite. Il tutto mentre il prossimo anno potrebbe arrivare una recessione, che già ridurrebbe i posti di lavoro in Italia.

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