Mentre il sottosegretario al lavoro Claudio Durigon parla di un’uscita a 61/62 anni di età e 41 di contributi, spunta l’ipotesi di incentivi ad hoc in busta paga per chi va in pensione più tardi.
Quota 102 o 103 e forse aumenti di stipendio fino al 10% per chi ritarda la pensione. Sarebbero queste le direttrici fondamentali della riforma pensionistica da approvare in legge di Bilancio. Il governo di Giorgia Meloni ci sta lavorando, con i ministeri del Lavoro e dell’Economia in prima fila per cercare risorse in modo tale da far quadrare i conti. Una cosa è certa: il pressing della Lega per non tornare alla Legge Fornero a fine anno è molto alto, ma la presidente del Consiglio non vuole spendere troppo per il capitolo pensionistico (per cui, solo adeguando gli assegni all’inflazione, serviranno 50 miliardi nei prossimi tre anni).
Il focus principale della manovra, come ha chiarito, dovrà infatti essere il caro-energia, a cui saranno destinate la maggior parte delle già limitate risorse disponibili (circa 30 miliardi di euro). Dal Carroccio, però, a sbilanciarsi è il sottosegretario al Lavoro Claudio Durigon, che in un’intervista a Repubblica spiega che la soluzione di Quota 102/103 costerà un miliardo e per questo è pienamente sostenibile. Per ora quindi, Quota 41 “pulita” non ci sarà, con l’esecutivo che si impegna a trovare in futuro i soldi per applicare la riforma complessiva.
Come si andrà in pensione nel 2023?
Durigon parla infatti di una “misura ponte”, mentre la fine vera e propria della legge Fornero dovrebbe arrivare solo il prossimo anno. Il sottosegretario parla di Quota 41 con una soglia di età a 61 o 62 anni, ma in questo modo altro non sarebbe che una nuova Quota 102 o 103. In pratica si andrebbe in pensione con almeno 41 anni di contributi e 61 o 62 di età. Così sarebbero coinvolti dalla misura circa 40-50mila lavoratori, contro i circa 16mila di platea massima dell’attuale Quota 102 (che prevede 38 anni di contributi e 64 di età e che è stata scelta finora solo da 8mila persone).
Alternativamente si lavora a uscite anticipate a 62 o 63 anni, con un livello di contribuzione inferiore. L’obiettivo, comunque, è mantenere una formula per cui sommando età e contributi si arrivi attorno a 102 o 103. Il nuovo sistema pensionistico prevederà inoltre il divieto di cumulo con i redditi da lavoro.
Pensioni, il bonus in busta paga per chi rimane a lavorare
Quanto al bonus in busta paga per chi ritarda la pensione, l’idea, a cui sta lavorando il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti, è semplice: se un lavoratore che ha maturato i requisiti resta al lavoro smette di versare i contributi (come anche il datore di lavoro) e una parte di quei soldi entrano in busta paga come aumento di stipendio fino al 10%. In questo modo si ridurrebbe la platea delle persone che vanno in pensione, contenendo i costi per l’’Inps e si impedirebbe, in alcuni casi, di privare le aziende di competenze acquisite. Questo, però, sacrificando il turnover con i giovani, tra cui cresce la disoccupazione.
Tuttavia, per ora, il sottosegretario Durigon frena. L’intervento non sarebbe a costo zero per le casse dello Stato e per questo secondo il leghista vista la “prudenza di bilancio” l’orientamento prevalente sarebbe quello di evitare.
Come funzionerà Quota 41
Quanto alla futura Quota 41, che permetterebbe di andare in pensione a prescindere dall’età, non appena si raggiungono i 41 anni di contribuzione, per Durigon costerebbe 4 miliardi il primo anno e poi a salire. L’obiettivo è “separare la spesa per assistenza da quella per la previdenza, per dare un segnale di sostenibilità delle pensioni italiane all’Europa e ai mercati”.
Ape sociale, Opzione donna e “pace contributiva” per i giovani
Quindi il rappresentante del governo parla di un “occhio di riguardo a giovani, donne e mestieri usuranti”. Nulla di eclatante, però: verranno prorogate ancora per un altro anno l’Ape sociale e Opzione donna, senza riforme strutturali, per ora.
Per le fasce d’età più basse, invece, il problema, ammette Durigon, è “serio”. Per questo il governo pensa a una sorta di “pace contributiva” per coprire i buchi del lavoro saltuario (in pratica un quasi azzeramento fino a un certo livello del costo dei contributi a carico dei lavoratori) e poi “riscatto della laurea agevolato e defiscalizzazione per la previdenza complementare”.
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